mercoledì 13 marzo 2013

Forlì. Mostra Adolfo Wildt. Sculture.

Adolfo Wildt
(1868 - 1931)
Senza aggettivi...


Vir temporis acti
 (Ill. da: Paola Mola, Wildt, testo di Paola Mola e prefazione di Vanni Scheiwiller, Milano, 1988, F. M. Ricci).
(In questa pagina qualificazione del b.n. a cura di GP)
"Vir temporis acti

"1911 circa. Marmo, altezza 74 cm, su basamento in marmo, altezza 23 cm.
Sulla base, di fronte, è inciso il titolo VIR TEMPORIS ACTI; sul fianco a destra la firma: A. WILDT. Milano, collezione privata.
E' il particolare di un grande torso in marmo, con le gambe mozze e una spada di bronzo impiantata a fianco. Rose possedeva il torso e il particolare, l'intero fu donato alla
sua morte al Museo Nuovo di Königsberg, il busto tagliato, all'Associazione artistica. Entrambi furono dispersi dalla guerra.
Esiste una terza versione, con la sola testa.
Il grande torso policromo, patinato nel marmo da parere d'osso giallo e luminoso di dorature sullo scuro del bronzo, è perduto. Dei due pezzi tagliati restano alcuni marmi e 
fusioni in bronzo (Milano, Galleria d'Arte Moderna collezione Scheiwiller).
La data è controversa. In un elenco autografo manoscritto compilato da Wildt nel '30, l'opera è datata 1913, come generalmente da tutti gli autori. Ma lo scultore stesso nel
'15, ebbe a dichiarare di avere scolpito la testa nel 1910 e che nel '12 il torso era esposto nel Museo di Königsberg. (1)
Quell'anno, inoltre, la scultura è già documentata nella collezione di Rose. Anche per ragioni stilistiche riteniamo il '10 e l'11 gli anni più attendibili.
I ricordi letterari e l'impianto formale del Crociato, ancor vivi dentro il tormento di questa figura, espongono, per antitesi, il percorso compiuto da Wildt nei quattro anni che separano le due opere: da un equilibrata misura di volumi al delirio attorto dell'anatomia, da un classicismo largo e piano a un trionfo ellenistico e barocco (Michelangelo e il Torso del Belvedere), dall'idealismo al virtuosismo realistico e decorativo, da una rappresentazione controllata sulla geometria del canone a un'indagine nel profondo soggettivo e nell'irrazionale.
Alle zone più lontane dell'inconscio e del mito attinge questa figura di guerriero flagellato all'ombra di una spada-croce, dove Wildt svolge il tema già esposto
nell'Autoritratto, del sacrificio di sé. Ma più distesamente con il doppio rimando all'ermafroditismo del Cristo nei capezzoli in forma di fiore (2) e alla sua realtà vivificante
nella simbologia della spada.
Rapporti con Meštrović, di cui s'è molto parlato sin  dall'esordio in pubblico di questo lavoro, non si possono escludere sul piano di un espressionismo fondato sulla
forzatura dell'anatomia (ma allora perché non con l'Ercole Arciere di Bourdelle?); ma al di là di analogie esteriori, come la vocazione monumentale, l'uso del frammento e il
ricordo di Michelangelo, peraltro comuni a una vasta area della cultura europea, le due poetiche restano estranee.
Meštrović, al passo con la tendenza dell'Espressionismo primitivista cercava, con un recupero arcaistico aggiornato al moderno stile Secession, un linguaggio nuovo e
popolare per esprimere i valori etici e l'epos di una stirpe. Wildt allora alieno da problematiche etico-sociali, si muoveva lontano, in una dimensione estenuata e decadente, affondato all'interno dell'io, e approdava nel Vir temporis acti a una soluzione di complesso valore simbolico e decorativo, del tutto inadatta a qualsiasi utilizzazione
"nazionale".
Suggestioni e motivi di stile andrebbero invece piuttosto ricercati nella lunga sua indagine sui valori formali del Seicento barocco, in aperto colloquio con il dibattito
europeo avviato da Wölfflin in Germania, ma inattivo ancora, per alcuni anni, nella cultura figurativa italiana".
(1) Cfr.Wildt, "Concordia" e "Giornale d'Italia", 1915.
(2) Cfr. Ojetti, 1926, p.462 e Lidin, 1925. ||



Paola Mola, (a cura di), Wildt, testo di P. Mola; prefazione di Vanni Scheiwiller, con: L'Arte del Marmo, di Adolfo Wildt, Milano, 1988, Franco Maria Ricci Editore, ISBN 88-216-0037-8; - Schede opere, Vir temporis acti, pag. 35).


Vir temporis acti
(Ill. da: Paola Mola, Wildt, testo di Paola Mola e prefazione di Vanni Scheiwiller, Milano, 1988, F. M. Ricci).
(In questa spagina qualificazione del b.n. a cura di GP) 



"Al lettore

"Nulla condivide con il classicismo l'idea di perfezione della scultura di Adolfo Wildt e se anche, in qualche misura, il suo virtuosismo potrebbe richiamare alla mente gli esempi toscani del Quattrocento, in particolare Agostino di Duccio, lo spirito che muove l'artista lombardo ha una radice di verità, una sorta di realismo spirituale, di necessità dell'anima che non si fonda nel razionalismo toscano e neppure nella variante espressionistica di Donatello.
Virtuosismo e spiritualità sono una sola cosa in Wildt, punto estremo di valorizzazione della tecnica: un idealismo della materia che trasfigura in pura luce. Cosi si spiegano
le affermazioni di Wildt nel suo prezioso trattatello L'Arte del Marmo: "È quando la statua è finita che la si incomincia". E più oltre: "Deve avvenire come del ciottolo che l'acqua allisciò, pur conservandogli tutti i piani della sua struttura caratteristica". Materialmente anticlassica la poetica di Wildt si oppone anche, nonostante l'inattingibile perfezione, a ogni forma di non classicismo. Riguardo al Canova Wildt osservava "l'invincibile senso di freddezza che viene dalle sue opere, pur concette quasi sempre con
alto pensiero, — proprio per colpa della meccanicità aggelata della lavorazione".
Sua convinzione, e conseguente impegno, era che la scultura fosse "prima di tutto l'arte dello scolpire, l'arte di far palpitare la vita, per virtù di ingegno e di mano, là dove
essa sembra più esularne — nel sasso".
Su questa contraddizione vitale si basa tutta l'opera di Wildt. E nello stesso senso è la dichiarazione all'ideale allievo, "attento a non uscir mai da quell'equilibrio di vuoti e
di pieni, che non è solo una legge fondamentale dell'arte, ma ben si può dire la legge plastica di tutta la vivente natura".  Wildt sa che anche l'astrazione è nella natura.
Per questo, nella ricerca delle ascendenze occorre risalire a quel filone di cultura anticlassica che ha i suoi campioni negli artisti lombardi e padani del Quattrocento,
dall'Amedeo al Mantegazza, dal Bambaja a Nicolò dell'Arca. In tal senso rivelatore è proprio l'elogio a "quel peritissimo, anzi irraggiungibile lavoratore del marmo che fu il maestro Bambaia. Se in talune parti del sepolcreto di Gastone da Foix, l'estrema sapienza tecnica ha perfin preso il sopravvento sullo spirito d'arte e sembra essersi fatta fine a se stessa; nella statua distesa guarda quale stupendo partito egli ha saputo trarre da certi bei particolari decorativi, come la catenella-collana che scende sulla corazza, e la rama d'alloro entro i ben sculti capegli, e le gentili decorazioni del cuscino: e tutte insieme queste leggiadrìe, creando nella parte superiore della figura una vaga tonalità di rotte ombre e luci leggere, fanno poi più evidente e più vasta la calma solenne del guerriero giacente". Questa dichiarazione, quasi enfatica segnala la strada privilegiata da Wildt, la ricerca di una spiritualità ottenuta attraverso il più minuzioso artificio. E, proseguendo nella ricerca delle fonti, implicite o esplicite, è inevitabile che uno dei più folgoranti prototipi della visione di Wildt sia una straordinaria scultura di Nicolò dell'Arca restituita al suo vero autore soltanto in anni recenti: il San Giovanni Battista dell'Escorial, sublime immaginazione gotica ed espressionistica tradotta in un naturalismo protorinascimentale, nel qual crescono formidabilmente germi del gusto manieristico e perfino barocco in una insuperabile trasformazione della pietra in carne, foglie, vello. Gli altissimi equivalenti pittorici della scuola ferrarese sono superati da un'opera come questa proprio per la lavorazione sovrumana della difficile materia sulla quale la pura tecnica va oltre lo stesso stile, o si identifica con esso in una dimensione extratemporale. E al punto in cui || [p.12] Nicolò è giunto, insuperato, sembra rimontare Wildt, purissimo inventore di forme apparentemente già esistenti.
Come Nicolò, Wildt guardò la realtà per trasportare nell'arte tutto quello che non vi aveva visto, proprio per la coscienza di quanto era diversa la carne dal marmo.
Così egli potrebbe essere definito un realista  dell'anima più che un simbolista. La sua opera sale verso la più alta purificazione dell'immagine fino a una sintesi quasi
astratta, che ha il suo ideale precedente formale in Francesco Laurana.
Il supremo artificio, l'arcaismo non sono maniera, ma necessità interiore, senza compiacimenti.
La vocazione all'assoluto, l'astrazione raggiunta al confine del realismo ci fanno sentire una profonda consonanza tra Wildt e Domenico Gnoli. Ma nel primo,
paradossalmente, il processo di pietrificazione non è totalmente compiuto; e nel marmo sentiamo ancora qualche rumore, qualche respiro della vita. C'è infatti in Wildt, ancora, il dolore della materia, la sua impossibilità, per quanto levigata fino a diventare trasparente, di essere viva. Questa contraddizione scioglie Wildt da qualunque accademia, e lo fa così morbosamente coinvolgente per chi sa leggere le forme oltre superficie. In una nota anonima all'album delle sue sculture, pubblicato da Bestetti e Tumminelli nel 1926, leggiamo: "Contro un'arte di lussuria la sua è arte di castità: contro un'arte di superbia la sua arte è di umiltà: contro un'arte di tormento esteriore la sua arte è animata dall'ispirazione interiore. I suoi eroi, le sue eroine sembrano tutti, sempre, dominati da un pensiero di morte, da un appassionato dolore, in contrasto con la sensualità di un Rodin o le tensioni dinamiche di un Bourdelle". Sono parole forse retoriche, ma dicono di una lezione tanto tormentata e combattuta quanto apparentemente pacificata nell'estasi della forma".||
(Vittorio Sgarbi, Al Lettore, in: Paola Mola, op. cit., pp. 11-12).



Adolfo Wildt
(1868 - 1931)
Senza aggettivi...


Vir temporis acti
 (Ill. da: Paola Mola, Wildt, testo di Paola Mola e prefazione di Vanni Scheiwiller, Milano, 1988, F. M. Ricci).
(In questa pagina qualificazione del b.n. a cura di GP)
"Vir temporis acti

"1911 circa. Marmo, altezza 74 cm, su basamento in marmo, altezza 23 cm.
Sulla base, di fronte, è inciso il titolo VIR TEMPORIS ACTI; sul fianco a destra la firma: A. WILDT. Milano, collezione privata.
E' il particolare di un grande torso in marmo, con le gambe mozze e una spada di bronzo impiantata a fianco. Rose possedeva il torso e il particolare, l'intero fu donato alla 
sua morte al Museo Nuovo di Königsberg, il busto tagliato, all'Associazione artistica. Entrambi furono dispersi dalla guerra.
Esiste una terza versione, con la sola testa.
Il grande torso policromo, patinato nel marmo da parere d'osso giallo e luminoso di dorature sullo scuro del bronzo, è perduto. Dei due pezzi tagliati restano alcuni marmi e  
fusioni in bronzo (Milano, Galleria d'Arte Moderna collezione Scheiwiller).
La data è controversa. In un elenco autografo manoscritto compilato da Wildt nel '30, l'opera è datata 1913, come generalmente da tutti gli autori. Ma lo scultore stesso nel 
'15, ebbe a dichiarare di avere scolpito la testa nel 1910 e che nel '12 il torso era esposto nel Museo di Königsberg. (1)
Quell'anno, inoltre, la scultura è già documentata nella collezione di Rose. Anche per ragioni stilistiche riteniamo il '10 e l'11 gli anni più attendibili.
I ricordi letterari e l'impianto formale del Crociato, ancor vivi dentro il tormento di questa figura, espongono, per antitesi, il percorso compiuto da Wildt nei quattro anni che separano le due opere: da un equilibrata misura di volumi al delirio attorto dell'anatomia, da un classicismo largo e piano a un trionfo ellenistico e barocco (Michelangelo e il Torso del Belvedere), dall'idealismo al virtuosismo realistico e decorativo, da una rappresentazione controllata sulla geometria del canone a un'indagine nel profondo soggettivo e nell'irrazionale.
Alle zone più lontane dell'inconscio e del mito attinge questa figura di guerriero flagellato all'ombra di una spada-croce, dove Wildt svolge il tema già esposto 
nell'Autoritratto, del sacrificio di sé. Ma più distesamente con il doppio rimando all'ermafroditismo del Cristo nei capezzoli in forma di fiore (2) e alla sua realtà vivificante 
nella simbologia della spada.
Rapporti con Meštrović, di cui s'è molto parlato sin  dall'esordio in pubblico di questo lavoro, non si possono escludere sul piano di un espressionismo fondato sulla 
forzatura dell'anatomia (ma allora perché non con l'Ercole Arciere di Bourdelle?); ma al di là di analogie esteriori, come la vocazione monumentale, l'uso del frammento e il 
ricordo di Michelangelo, peraltro comuni a una vasta area della cultura europea, le due poetiche restano estranee.
Meštrović, al passo con la tendenza dell'Espressionismo primitivista cercava, con un recupero arcaistico aggiornato al moderno stile Secession, un linguaggio nuovo e 
popolare per esprimere i valori etici e l'epos di una stirpe. Wildt allora alieno da problematiche etico-sociali, si muoveva lontano, in una dimensione estenuata e decadente, affondato all'interno dell'io, e approdava nel Vir temporis acti a una soluzione di complesso valore simbolico e decorativo, del tutto inadatta a qualsiasi utilizzazione 
"nazionale".
Suggestioni e motivi di stile andrebbero invece piuttosto ricercati nella lunga sua indagine sui valori formali del Seicento barocco, in aperto colloquio con il dibattito 
europeo avviato da Wölfflin in Germania, ma inattivo ancora, per alcuni anni, nella cultura figurativa italiana".
(1) Cfr.Wildt, "Concordia" e "Giornale d'Italia", 1915.
(2) Cfr. Ojetti, 1926, p.462 e Lidin, 1925. ||
Paola Mola, (a cura di), Wildt, testo di P. Mola; prefazione di Vanni Scheiwiller, con: L'Arte del Marmo, di Adolfo Wildt, Milano, 1988, Franco Maria Ricci Editore, ISBN 88-216-0037-8; - Schede opere, Vir temporis acti, pag. 35).


Vir temporis acti
(Ill. da: Paola Mola, Wildt, testo di Paola Mola e prefazione di Vanni Scheiwiller, Milano, 1988, F. M. Ricci).
(In questa spagina qualificazione del b.n. a cura di GP) 



"Al lettore

"Nulla condivide con il classicismo l'idea di perfezione della scultura di Adolfo Wildt e se anche, in qualche misura, il suo virtuosismo potrebbe richiamare alla mente gli esempi toscani del Quattrocento, in particolare Agostino di Duccio, lo spirito che muove l'artista lombardo ha una radice di verità, una sorta di realismo spirituale, di necessità dell'anima che non si fonda nel razionalismo toscano e neppure nella variante espressionistica di Donatello.
Virtuosismo e spiritualità sono una sola cosa in Wildt, punto estremo di valorizzazione della tecnica: un idealismo della materia che trasfigura in pura luce. Cosi si spiegano 
le affermazioni di Wildt nel suo prezioso trattatello L'Arte del Marmo: "È quando la statua è finita che la si incomincia". E più oltre: "Deve avvenire come del ciottolo che l'acqua allisciò, pur conservandogli tutti i piani della sua struttura caratteristica". Materialmente anticlassica la poetica di Wildt si oppone anche, nonostante l'inattingibile perfezione, a ogni forma di non classicismo. Riguardo al Canova Wildt osservava "l'invincibile senso di freddezza che viene dalle sue opere, pur concette quasi sempre con 
alto pensiero, — proprio per colpa della meccanicità aggelata della lavorazione".
Sua convinzione, e conseguente impegno, era che la scultura fosse "prima di tutto l'arte dello scolpire, l'arte di far palpitare la vita, per virtù di ingegno e di mano, là dove 
essa sembra più esularne — nel sasso".
Su questa contraddizione vitale si basa tutta l'opera di Wildt. E nello stesso senso è la dichiarazione all'ideale allievo, "attento a non uscir mai da quell'equilibrio di vuoti e 
di pieni, che non è solo una legge fondamentale dell'arte, ma ben si può dire la legge plastica di tutta la vivente natura".  Wildt sa che anche l'astrazione è nella natura.
Per questo, nella ricerca delle ascendenze occorre risalire a quel filone di cultura anticlassica che ha i suoi campioni negli artisti lombardi e padani del Quattrocento, 
dall'Amedeo al Mantegazza, dal Bambaja a Nicolò dell'Arca. In tal senso rivelatore è proprio l'elogio a "quel peritissimo, anzi irraggiungibile lavoratore del marmo che fu il maestro Bambaia. Se in talune parti del sepolcreto di Gastone da Foix, l'estrema sapienza tecnica ha perfin preso il sopravvento sullo spirito d'arte e sembra essersi fatta fine a se stessa; nella statua distesa guarda quale stupendo partito egli ha saputo trarre da certi bei particolari decorativi, come la catenella-collana che scende sulla corazza, e la rama d'alloro entro i ben sculti capegli, e le gentili decorazioni del cuscino: e tutte insieme queste leggiadrìe, creando nella parte superiore della figura una vaga tonalità di rotte ombre e luci leggere, fanno poi più evidente e più vasta la calma solenne del guerriero giacente". Questa dichiarazione, quasi enfatica segnala la strada privilegiata da Wildt, la ricerca di una spiritualità ottenuta attraverso il più minuzioso artificio. E, proseguendo nella ricerca delle fonti, implicite o esplicite, è inevitabile che uno dei più folgoranti prototipi della visione di Wildt sia una straordinaria scultura di Nicolò dell'Arca restituita al suo vero autore soltanto in anni recenti: il San Giovanni Battista dell'Escorial, sublime immaginazione gotica ed espressionistica tradotta in un naturalismo protorinascimentale, nel qual crescono formidabilmente germi del gusto manieristico e perfino barocco in una insuperabile trasformazione della pietra in carne, foglie, vello. Gli altissimi equivalenti pittorici della scuola ferrarese sono superati da un'opera come questa proprio per la lavorazione sovrumana della difficile materia sulla quale la pura tecnica va oltre lo stesso stile, o si identifica con esso in una dimensione extratemporale. E al punto in cui || [p.12] Nicolò è giunto, insuperato, sembra rimontare Wildt, purissimo inventore di forme apparentemente già esistenti.
Come Nicolò, Wildt guardò la realtà per trasportare nell'arte tutto quello che non vi aveva visto, proprio per la coscienza di quanto era diversa la carne dal marmo.
Così egli potrebbe essere definito un realista  dell'anima più che un simbolista. La sua opera sale verso la più alta purificazione dell'immagine fino a una sintesi quasi 
astratta, che ha il suo ideale precedente formale in Francesco Laurana.
Il supremo artificio, l'arcaismo non sono maniera, ma necessità interiore, senza compiacimenti.
La vocazione all'assoluto, l'astrazione raggiunta al confine del realismo ci fanno sentire una profonda consonanza tra Wildt e Domenico Gnoli. Ma nel primo, 
paradossalmente, il processo di pietrificazione non è totalmente compiuto; e nel marmo sentiamo ancora qualche rumore, qualche respiro della vita. C'è infatti in Wildt, ancora, il dolore della materia, la sua impossibilità, per quanto levigata fino a diventare trasparente, di essere viva. Questa contraddizione scioglie Wildt da qualunque accademia, e lo fa così morbosamente coinvolgente per chi sa leggere le forme oltre superficie. In una nota anonima all'album delle sue sculture, pubblicato da Bestetti e Tumminelli nel 1926, leggiamo: "Contro un'arte di lussuria la sua è arte di castità: contro un'arte di superbia la sua arte è di umiltà: contro un'arte di tormento esteriore la sua arte è animata dall'ispirazione interiore. I suoi eroi, le sue eroine sembrano tutti, sempre, dominati da un pensiero di morte, da un appassionato dolore, in contrasto con la sensualità di un Rodin o le tensioni dinamiche di un Bourdelle". Sono parole forse retoriche, ma dicono di una lezione tanto tormentata e combattuta quanto apparentemente pacificata nell'estasi della forma".||

(Vittorio Sgarbi, Al Lettore, in: Paola Mola, op. cit., pp. 11-12).

























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NOTE
(a cura di Losfeld)

"Wildt ‹vilt›, Adolfo (in: Enciclopedie on line)

Wildt 〈vilt〉, Adolfo. - Scultore (Milano 1868 - ivi 1931). W. fu prof. all'Accademia di Brera (dal 1923). La sua arte, caratterizzata da una sorprendente perizia tecnica nel maneggiare la materia, si propone effetti drammatici, complicati da oscuri significati letterari; essa partecipa solo sporadicamente del gusto del Novecento.
Vita e opereLavorò dapprima come esecutore in marmo di modelli presso vari artisti, fra cui G. Grandi, frequentando intanto l'Accademia di Brera. La statua di un Mozzo (1890 circa; Corfù, Achilleion) segnò l'inizio di un'attività indipendente, mentre lo scultore si fece meglio conoscere con il busto di Atte (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna). Intanto, con l'esposizione a Monaco del Martire, trovò un mecenate in Franz Rose di Dohlau, per il quale lavorò fino al 1912. In quell'anno W. ottenne il premio della Triennale di Brera con una monumentale trilogia per fontana (Il Santo, Il Giovane, Il Saggio, Milano, giardino della Villa Reale). Ottenne inoltre a una biennale veneziana (1922) il premio della città di Venezia con il gruppo La famiglia e (1925) il Grand Prix dell'Esposizione internazionale per l'arte decorativa a Parigi. Membro (dal 1924) del Consiglio superiore per le belle arti, fu nominato nel 1929 accademico d'Italia. Si citano ancora tra le sue opere più note: "Vir temporis acti" (1913, Museo di Königsberg); la Madre adottiva (1918, Milano, cimitero monumentale); La concezione (Milano, collezione Rossi); Sepolcro Boschi (1921, cimitero di Castiglione delle Stiviere); ritratto di Toscanini (1925, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna); ritratto di Mussolini (Milano, Galleria d'arte moderna); i tre busti di Battisti, Filzi e Chiesa sull'Arco della Vittoria a Bolzano (1927); il Puro folle (1930, Gardone, Vittoriale)".

WILDT (di Palma Bucarelli, in Enciclopedia Italiana, 1937)

"WILDT, Adolfo. - Scultore, nato a Milano il 10 marzo 1868, ivi morto il 12 marzo 1931. Costretto dalla povertà, cominciò da fanciullo a lavorare come semplice operaio, prima nello studio dello scultore Giuseppe Grandi, poi presso varî artisti per i quali traduceva nel marmo i modelli. Fu attraverso questo duro lavoro che il W. acquistò quella straordinaria perizia tecnica che seppe costringere la materia alle estreme possibilità. L'artista originale si rivelò nel 1894 con una testa di Atte acquistata per la Galleria d'arte moderna di Roma. Poco dopo, presentando a Monaco Martire, che ebbe una medaglia d'oro, attirò l'attenzione del tedesco Franz Rose di Doelhau, il quale, liberandolo dalle preoccupazioni economiche, gli permise di dedicarsi completamente alla sua arte. Attraverso un intenso travaglio spirituale, dopo i primi saggi d'impostazione ancora tradizionale, il W. trova finalmente la sua personalità in quella sua forma tormentata e dolorosa. Nascono così l'Idiota (1903; Gardone, Vittoriale); l'Autoritratto (1906; distrutto); Il Giovane, Il Santo, Il Saggio, motivo per fontana (1912; Milano, Galleria d'arte moderna); L'anima e la sua veste (1916); Madre adottiva (1917; Milano, Cimitero monumentale), ecc. Spesso però il desiderio di rendere idee universali o astratte e la ricerca dello stile conducono l'artista a una espressione plastica oscura, ove l'emozione si raffredda nel cerebralismo e in audacie tecniche di puro virtuosismo. I ritratti, più necessariamente aderenti alla realtà, sono le sue opere artisticamente meglio realizzate: Margherita Sarfatti; Toscanini (1923; Roma, Gall. naz. d'arte mod.); Benito Mussolini (1923); Nicola Bonservizi (Milano, Gall. d'arte mod.); Vittorio Emanuele III; Pio XI; i tre busti di Battisti, Filzi e Chiesa che ornano l'Arco della Vittoria a Bolzano (1927), ecc. Eseguì molti monumenti funebri, tra cui notevoli il monumento al pittore Bonzagni (1919; Milano, Cimitero monumentale), il monumento Körner (1928; Milano, Cimitero monumentale), il sepolcro Boschi (1921; Castiglione delle Stiviere, cimitero), il monumento Bistoletti (La casa del sonno, Milano, Cimitero monumentale). Ricordiamo ancora: Filo d'oro (1926); La Concezione (1921); La Famiglia (1922); S. Francesco; S. Ambrogio (1928; per il monumento ai caduti di Milano). Eseguì anche medaglie e scrisse un volumetto su L'arte del marmo. Negli ultimi anni fu professore alla R. Accademia di Brera.
Bibl.: A. Wildt, Milano-Roma 1926; G. Casoni, A. W., in Marmi, pietre, graniti, marzo-aprile 1931, n. 11, pp. 3-8; L. Calza, A. W., in Cremona, III, n. 3, marzo 1931, p. 180; Emporium, marzo 1931, vol. 73, p. 158; Omaggio a W., Milano 1932; G. Nicodemi, A. W., Milano 1935 (con bibl.).
(Da: http://www.treccani.it/enciclopedia/wildt_(Enciclopedia-Italiana)/)


Wildt Il sentimento del marmo
Amò Bronzino, «vide» Avatar Riemerge da un ingiusto oblio il grande esteta della materia
L'appuntamento La più grande retrospettiva dello scultore milanese che in modo autonomo fu classicista, liberty, espressionista e simbolista.
(di Francesca Montorfano, ne: Il Corriere della sera, 27 gennaio 2012 - Cultura)
Quale mistero, quale profonda inquietudine si cela dietro quelle forme scavate, quell'anatomia martoriata dei volti, quei gesti di una nudità essenziale? Dietro quelle superfici così levigate, di una lucentezza quasi trasparente? Il cammino tormentato di un uomo alla ricerca di se stesso e di prove sempre più ardite, uno scultore che avrebbe osato sfidare la materia più nobile, il marmo, con tecnica inarrivabile fino a renderlo come avorio, a smaterializzarlo e poi condotto la sua arte al di là di ogni canone o convenzione inventando un suo personalissimo linguaggio, in una sintesi straordinaria tra innovazione e tradizione. «L'opera d'arte - scriveva Wildt -, non è per gli occhi ma per l'anima. Scolpire significa immettere lo spirito nella materia». Rappresentare l'emozione, la dimensione spirituale che tale materia rende viva, diventava così lo scopo stesso della sua esistenza.
Era nato da un'umile famiglia nel 1868 Adolfo Wildt, italiano, milanese, legatissimo alla sua città che lasciava solo per le sue battute di pesca sul Ticino. A nove anni garzone di parrucchiere, a venti pulitore di marmi, autodidatta per necessità e vocazione conobbe un successo travolgente, presente a ogni concorso, richiesto a ogni esposizione, diventato primo scultore e accademico d'Italia. Eppure questo artista che morirà nel 1931 carico di notorietà e gloria al pari di Marinetti, Pirandello o d'Annunzio (suo collezionista), che vivrà l'arte del marmo come una missione, verrà nel dopoguerra lasciato nell'oblio, accusato di connivenze con il fascismo ma soprattutto di scarsa «mediterraneità» e di un virtuosismo troppo esibito che lo aveva portato lontano dal percorso della scultura moderna, di un Medardo Rosso o un Arturo Martini.
A restituircene la statura in tutta la sua complessità è oggi la retrospettiva di Forlì, la più completa a lui dedicata, che presenta gran parte delle sue opere, sculture in gesso, marmo, bronzo, disegni e fotografie che documentano capolavori andati perduti o non trasportabili per le dimensioni, messe a confronto con quelle di scultori e pittori che fin dalla giovinezza studiò «con selvaggia intensità». I grandi maestri del passato, Donatello, Bambaja, Bronzino, Bernini, Michelangelo, Canova e i contemporanei di cui più avvertì l'influenza, Klimt e Previati, Rodin, De Chirico e Casorati, con cui condivideva quel tema della maschera che tanto ha intrigato la cultura del suo tempo, fino a Melotti e Fontana, i prediletti tra i suoi allievi a Brera. «Proprio da questa capacità di toccare tanti registri, di rivisitare e rielaborare culture figurative all'apparenza inconciliabili, gotico e barocco, classicismo e manierismo, espressionismo, simbolismo e metafisica in nuovi risultati espressivi, in immagini dal contenuto simbolico spesso impervio ma sempre in grado di affascinare, nasce la grandezza di Wildt», sottolinea Fernando Mazzocca, curatore della mostra insieme a Paola Mola. «Il suo esordio risale al 1892, con quel ritratto trasfigurato della moglie Dina, "Vedova", che segnerà una svolta nella sua carriera e gli farà incontrare Franz Rose, ricco appassionato d'arte prussiano e suo mecenate per ben diciotto anni, tramite il quale entrerà in contatto con l'Europa delle Secessioni ed esporrà a Monaco, Dresda e Berlino. Ma perché il suo nome si imponga anche sulla scena italiana bisognerà aspettare il 1912 con quell'impressionante gruppo marmoreo della Trilogia, sospeso tra echi medievali ed esuberanza barocca, vincitore del premio Principe Umberto».
Sono questi gli anni che vedono un'enfatizzazione espressionista dell'anatomia e figure virili declinate in una dimensione eroica, «Vir Temporis acti», «Il Prigione», «Uomo antico» o «Il Crociato», cui seguirà una seconda fase caratterizzata da una diversa ricerca spirituale e un'attenzione nuova a immagini femminili più lineari, stilizzate, al decoro liberty e simbolista, alla preziosità dei materiali, con opere altissime quali «Madre adottiva», «Un rosario» o «Maria dà luce ai pargoli cristiani». Ma il suo genio creativo va avanti ancora, si avvicina alla poetica futurista della velocità e al surrealismo, per approdare infine a una nuova compostezza delle forme, a un più sereno equilibrio architettonico, come nei monumentali ritratti di Toscanini e Mussolini (quel duce subito diventato un'icona) o in quel capolavoro dal fascino quattrocentesco che è la testa marmorea di Margherita Sarfatti.
È un'emozione forte ripercorrere il cammino di Wildt nelle sale del San Domenico a Forlì. In lui tutto è egualmente presente, ma senza tempo, senza luogo. Tutto il passato rivive, ma anche l'oggi, anche il futuro. Perché molte di quelle sue figure avvolte da un velo onirico, astrale, sembrano riflettere creature di mondi e avventure a venire, di E.T., di Guerre Stellari, di Avatar.
(Da: http://www.corriere.it/cultura/12_gennaio_27/montorfano-wildt_f8d0a9f2-48dc-11e1-b976-995c60acee8e.shtml) 

Quando le sculture sembrano dipinti
(di Cesare De Seta, in: La Repubblica, 27 gennaio 2012, pag. 32 - sez. Cultura)
La biografia di Adolfo Wildt (Milano 1868-1931) sembra tratta dalla Leggende dell'artista così carea Ernst Krise Otto Kurz: ebbe umilissimi natali, in terza elementare lasciò la scuola per fare l'apprendista parrucchiere, ma a undici anni la sua versatilità nel disegno gli consentì d'entrare nella bottega di uno scultore rinomato come Giuseppe Grandi autore del monumento alle Cinque Giornate, poi in quella di Federico Villa. Frequentò la scuola di Disegno e Figura all'Accademia di Brera e si appassionò così tanto ai calchi antichi e rinascimentali da rimanerne segnato per l'intera vita. A vent'anni la sua abilità di "finitore" del marmo lo rese noto nell'ambiente e nel 1893 il suo esordio con Ate, ritratto della moglie d'ascendenza canoviana, in una mostra alla Società delle Belle Arti. La sua fortuna fu crescente nel tempo fino alla feluca di Accademico d'Italia sotto le ali protettrici di Margherita Sarfatti che l'aveva reclutato per la prima mostra di Novecento nel 1926 alla Permanente di Milano. Wildt, assai giovane, ebbe la fortuna di imbattersi in un mecenate come Franz Rose, un prussiano colto e dall'occhio acuto, che gli fece conoscere le esperienze bavaresi e viennesi delle Secessioni. Uno scultore, che poteva restare un epigono di vena neoclassica e storicista, maturò così una sua cifra stilistica d'impronta mitteleuropea. Le sue mostre a Monaco (1895), dove con Martire vinse la medaglia d'oro, a Berlino (1896) e Dresda (1904) furono occasioni di un confronto sprovincializzato e gli aprirono un ricco mercato. In Germania vendé più di cinquanta sculture. Ce lo presenta a tutto tondo la mostra Adolfo Wild. L'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt, ai Musei San Domenico a Forlì (fino al 17 giugno), a cura di Ferdinando Mazzocca e Paola Mola (catalogo Silvana). Rassegna ricchissima, non solo per la presenza delle maggiori opere dello scultore (in marmo e bronzo, con bozzetti, disegni e incisioni), ma perché le mette a confronto con un cospicuo numero d'opere di grandi artisti dall'antichità al Novecento che ispirarono la sua arte: tra questi ultimi Grubicy, Previati e Casorati pittore e scultore assai meno noto e ben documentato in mostra.
Wildt fu una personalità tormentata inclinea un'incessante ricerca, ispirata a un sofferto spiritualismo cristiano.I marmi Maschera del dolore, 1909, Maschera dell'Idiota, 1910, Vis temporis acti, 1911, Trilogia, 1912, testimoniano la sua vicinanza al Simbolismo, movimento che in questi anni ebbe notevole rilievo anche in Italia. Le sue straordinarie attitudini nel modellare il marmo s'impongono in ogni sua opera, ma i disegni e i bozzetti sono talvolta più spontanei e sinceri. Si veda quello della Trilogia influenzato da Rodin. La mostra mette a fuoco in particolare la stagione successiva alla personale alla Galleria Pesaro segna la sua decisa affermazione: sostenuto da critici come Raffaello Giolli fin dal '14, di cui è in arrivo un'antologia degli scritti da Jaca Book, è osteggiato dai toscani Soffici e Papini. La sua carriera è costellata di mostre alla Biennale di Venezia e in giro per le maggiori istituzioni artistiche italiane. Matura in questi anni l'antitesi formale e critica Wildt-Medardo Rosso. Il trasferimento della privata Scuola del marmo a Brera nel 1923 gli apre le strada a importanti commesse pubbliche. Fu un grafico raffinato e in questa attività la sua vena assume toni vicini a Gustav Klimt, alla Secessione di Ver Sacrum, alla Vienna Finis Austriae i cui caratteri stilistici riconosciamo in taluni dettagli - i capelli delle sculture Rosario, San Francesco, Vir temporis acti - che diventano motivi decorativi di raffinatezza bizantina. Aggettivazione che rimanda a quelle Cronache bizantine di dannunziana ascendenza. Wildt è un artista vorace: contemporaneamente guarda all'Antico, con la Psiche di Capua, il Laocoonte o il Torso del Belvedere; si volge al Rinascimento tra Donatelloe Bambaia, assimila la lezione della grande scultura dal Cinquecento al Barocco, da Michelangelo a Bernini. La mostra, con oltre duecento pezzi, documenta come s'avvalesse per il suo lavoro della fotografia per indagare esperienze così lontane tra loro. I busti di Toscanini, di papa Pio XI, di Fulcieri Paolucci de' Calboli, della Sarfatti, di Grubicy e della moglie sono momenti felici, a cui fa da contrappunto il funereo testone del Duce. Nel 1928 realizza in bronzo il grande Monumento ai caduti a Milano con gli architetti Muzio, Ponti e altri: dominato da un colossale Sant'Ambrogio su cui appunta le sue critiche Ugo Ojetti dalle pagine del "Corriere della Sera", ma ha gli apprezzamenti di Alberto Savinio. D'Annunzio acquista suoi disegni e l' Idiota, Pirandello gli commissiona le maschere per i Sei personaggi. Figura complessa quella di Wildt che oscilla tra Secessione e Liberty, che lambisce la sponda più sobria del Novecento cara a Alberto Martini e non si esime dal perlustrare il gusto dei revival. C'è sempre nella sua opera un sentimento sofferto della vita e della morte, che gli consente di scansare quasi sempre i rischi del manierismo a cui il talentuoso magistero del suo scalpello l'avrebbe potuto indurre.
(In: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/01/27/quando-le-sculture-sembrano-dipinti.html)


Vertigine Wildt (di Chiara Macherozzi, 30 gennaio 2012)
Finalmente lo scrigno del San Domenico si è schiuso e agli occhi di tutti sono visibili,  da sabato scorso 28 gennaio, le meraviglie della mostra più bella allestita a Forlì fino ad ora : “Wildt. L’anima e le forme da Michelangelo a Klimt”, organizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, curata da Paola Mola, Fernando Mazzocca e da un Comitato Scientifico coordinato da Gianfranco Brunelli e presieduto da Antonio Paolucci. Il progetto di allestimento è a cura degli Studi Wilmotte et Associés di Parigi e Lucchi e Biserni di Forlì.
 Perché una mostra dedicata a  Wildt a Forlì? Per rileggere la storia di Forlì con spirito di laicità culturale - come ha precisato il Presidente Dolcini -  storia da cui non si può prescindere, e per valorizzare il patrimonio culturale di Forlì , dal momento che un corpus significativo di capolavori di Wildt è custodito nei Musei Civici di Forlì, in seguito alla donazione effettuata nel 1931 per disposizione testamentaria del marchese Raniero Paulucci di Calboli, grande estimatore e committente dell'artista : Fulcieri Paulucci de’ Calboli (1919), Santa Lucia (1926), San Francesco d'Assisi (1926), una versione della Maschera del dolore o Autoritratto (1908-1909), Lux (1920), La fontanella santa (1921), La Protezione dei bambini o Pargoli (1918).
 Per questo motivo, già nel 2000 Forlì aveva ospitato a Palazzo Albertini la mostra monografica “La scultura dell’anima” dedicata ad Adolfo Wildt (1868-1931) e  curata da Vittorio Sgarbi (catalogo Marsilio Edizioni). Lo stesso Sgarbi che, nella serata del 27 gennaio, giorno dell’inaugurazione , ha visitato la mostra  ai Musei San Domenico di Forlì, osservando che si tratta di  “una mostra originale, stupenda” oltre che “una delle migliori chiavi interpretative del Novecento”.
Milano, 5 novembre 1919: il Marchese Raniero Paolucci di Calboli , diplomatico italiano – con una carriera che spazia dall’Affaire Dreyfus di Parigi, a Brema, Tokio, Madrid – si reca nell’atelier di Wildt per vedere il ritratto del figlio Fulceri- eroe della Prima Guerra Mondiale, decorato con medaglia d’oro e morto invalido a seguito delle molteplici ferite riportate - commissionatogli ad imperitura memoria. “E’ somigliantissimo”, annoterà in agenda il Marchese. Fu questo l’inizio di un sodalizio durato fino alla morte di Raniero, il 12 febbraio 1931, esattamente un mese prima della morte di  Adolfo Wildt, avvenuta infatti il 12 marzo dello stesso anno.
Con questa mostra inizia il Progetto Novecento, ideato e attuato dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì: un percorso di riflessioni e indagini lungo un biennio- e che il prossimo anno vedrà la mostra “Dux. L’arte in Italia negli anni del consenso”- per rileggere il Novecento Forlivese e il rapporto fra  la Forlì razionalista, protagonista del Novecento in quanto “città del Duce” e il Novecento Italiano, Europeo e Mondiale, ovvero il Novecento tout court.
 Infatti il Novecento ha cambiato il volto di Forlì ed il suo territorio più di quanto non avessero fatto i secoli precedenti: nel Novecento, soprattutto nel periodo fra le due guerre mondiali,  Forlì si trasforma  in città moderna con l’avvio dei nuovi piani regolatori pensati dal Regime: gli interventi sulla struttura urbana antica, le nuove architetture razionaliste di edilizia pubblica (gli Uffici Statali, le Poste, il Tribunale, le scuole, gli asili), il nuovo asse urbano tra la nuova Stazione Ferroviaria e il nuovo Piazzale della Vittoria. La storia mondiale ha attraversato e trasformato Forlì , lasciando segni monumentali che costituiscono il nostro patrimonio identitario culturale, da cui non si può prescindere, e che per questo motivo va correttamente conosciuto e analizzato, con la laicità dell’indagine storica e culturale- come ha sottolineato il Presidente Dolcini- senza però scadere nella bigiotteria turistica e senza alcun intento di revisione o rivisitazione nostalgica del Ventennio Fascista,  senza alcuna ipotesi di dialogo col Regime, ma con la ferma convinzione di avere chiuso i conti col Fascismo già a partire dalla nostra Carta Costituzionale.
Questa è la grande sfida della mostra dedicata a Wildt: per la prima volta si affronta la modernità: attraverso  Wildt Forlì s’inserisce nel mondiale flusso storico del Novecento e ne diventa parte integrante, in un disegno di respiro universale.
 Come ha evidenziato il Presidente Dolcini, questa è una mostra di storia, filosofia, sentimenti esistenziali di risonanza mondiale, perché i marmi , i gessi , i bronzetti e i disegni di Wildt sprigionano tutta l’angoscia, l’inquietudine, la sofferenza, il dramma dell’uomo del ‘900, fra guerre, regimi totalitari, epurazioni, perdita di punti di riferimento, ma anche aneliti alla libertà, alla democrazia, alla spiritualità, alla pace.
 Tutti questi moti dell’animo si agitano e s’intrecciano nelle opere di Wildt, nel segno di una sconvolgente modernità , densa di significati universali.
 Quindi, non più un progetto espositivo - come le sei precedenti mostre, da Palmezzano a Lega a Cagnacci a Canova ai Fiori a Melozzo-  che prende le mosse dall’artista-genius loci che si apre e dialoga con una dimensione storico-artistica- filosofica nazionale , ma un percorso di respiro universale che da Forlì parte.
Se un’operazione di “restituzione” questa mostra attua, è nei confronti di Adolfo Wildt, nel senso che gli restituisce la statura di Principe del Novecento, essendo Wildt ritenuto vero genio dimenticato del Novecento Italiano ed Europeo.
 Fernando Mazzocca, uno dei curatori, ha definito questa mostra  “la più completa finora realizzata su Wildt, un’occasione unica e difficilmente ripetibile per poterne ammirare e studiare tutte le opere trasportabili e quelle mai viste prima- come ad esempio il ritratto di Margherita Sarfatti , proveniente da collezione privata –” , poste a dialogare fra loro nelle sale espositive del San Domenico. Wildt è qui documentato in tutti i suoi aspetti , restituiti grazie agli studi iniziati negli anni ’80 da Paola Mola-  altra curatrice della mostra e divenuta la massima studiosa italiana di Wildt- e in tutti i suoi materiali: marmi, gessi, bronzetti, disegni e fotografie.  Grazie alla famiglia Scheiwiller - i discendenti del  nipote di Adolfo Wildt -  che ha messo a disposizione il ricco archivio e grazie ai Musei prestatori delle opere di Wildt e ai Musei prestatori dei capolavori degli altri artisti posti a confronto, disponibilità, quest’ultima, assai rara.
Infatti, non ci troviamo di fronte ad una mostra monografica, ma ad una “mostra di relazioni”,  come ha ben spiegato Mazzocca: soltanto attraverso questa fitta rete di relazioni fra Wildt e tutta la storia dell’arte si riesce a coglierne la grandezza.
“Fin da ragazzo studiai con selvaggia intensità i nostri maestri antichi. E’ questo studio, lungo e faticoso, l’unica fonte della mia arte e a questo aggiungo il mio potente bisogno di sincerità”, scriveva Wildt nel 1915. Questa mostra è  un percorso straordinario e interdisciplinare che va dai richiami all’arte egizia alla pittura vascolare attica, dai Kouroi alle sculture della cerchia di Fidia, dalle sculture  elleniste e a quelle romane, dai decori dorati bizantini - poi ripresi dallo Jugendstil e da Klimt, di cui sono esposti alcuni disegni  – ai fregi bizantini dei trafori di una transenna e di un capitello del periodo costantinopolitano, dalle tavole medievali, a quelle del Rinascimento e dell’Antirinascimento  e del Manierismo, dalla scultura gotica alla scultura rinascimentale di Donatello e Michelangelo, dalla scultura barocca di Bernini al NeoClassicismo di Canova , dalle Secessioni all’Espressionismo, dalla lezione di Modigliani al Simbolismo e al Surrealismo, dalla metafisica di De Chirico a Morandi, dai tagli di Fontana a Melotti -  entambi , questi ultimi, allievi di Wildt e da questi influenzati- da Mazzucotelli a Bellotto. Perché l’arte di Wildt è un divenire sublimato di riferimenti, richiami, significati, dialoghi, intrecci di anime e stati d’animo, attraverso la storia dell’arte tout court, ma fuori dal tempo, in una dimensione sua propria e assoluta, estraneo ad ogni possibile inquadramento .Questo il motivo per cui egli non è stato compreso appieno dai suoi contemporanei, salvo alcune eccezioni.
Come ha sottolineato Gianfranco Brunelli, coordinatore generale del Comitato Scientifico della mostra, “ la mostra dedicata a Wildt è come un nuovo museo nella città” : sono presenti ben 190 opere in mostra, di cui 64 sono capolavori “di confronto”: opere di arte classica e bizantina, tavole medievali, lo “Zuccone” di Donatello mai uscito da Firenze, un pilastrino del Bambaia, Ercole e Anteo del Pollaiolo, Eraclito e Democrito del Bramante, l’Adorazione del Bambino del Bramantino, la Madonna della Passione del Crivelli; la Madonna del Velo del Bergognone, il Sant’Antonio da Padova di Cosmé Tura;  la Madonna della Pera , il San Filippo Apostolo e il San Giacomo Apostolo del Durer; un copriritatto del Ghirlandaio; il San Matteo  e il Ritratto di Laura Battiferri del Bronzino; il Bozzetto per un Dio Fluviale , un disegno di studi anatomici e il gesso della Pietà Rondanini di Michelangelo;il Busto del Laocoonte e una Testa di Santa Teresa d’Avila del Bernini; l’ Erma di Vestale e l’Endimione del Canova; due tele del Trittico dell’Offerta di List, alcuni disegni di Klimt; il Trittico dell’Eroica del Previati, la Testa di Ercole Arcere di Bourdelle; le Maschere, l’Ada , La Preghiera e Le due Sorelle di Casorati; le Muse Metafisiche di De Chirico, la Natura Morta Metafisica di Morandi, L’esprit travaille di Alberto Martini, tre sculture di Melotti, tre opere di Fontana, le opere in ferro battuto di Mazzucotelli e di Bellotto.
Nonostante la sua atemporalità, Wildt ha comunque e sempre dialogato anche con i suoi contemporanei : ad esempio Klimt e Freud, per quanto riguarda la tematica onirica , la cultura mitteleuropea tra ‘800 e ‘900- fra cui Simmel ,Lukàcs, Rilke, Freud, Jung, per citarne solo alcuni-  e , per quanto riguarda la tematica della maschera , Casorati , Pirandello, D’Annunzio e Bontempelli. “Maschere, maschere…un soffio e passano, per dare posto ad altre. Ciascuno si racconta la maschera come può- la maschera esterna. Perché dentro poi c’è l’altra, che spesso non s’accorda con quella di fuori” scriveva Pirandello nel 1908 e Wildt creava nel 1909 la  Maschera del Dolore, o Autoritratto,  nel 1912 Carattere Fiero – Anima Gentile, nel 1918 le due Maschere dell’Idiota- una delle quali fu acquistata dal D’Annunzio- ,  nel 1919 le maschere del Monumento Funebre ad Aroldo Bonzagni .
Ma Wildt tutto assorbe e tutto supera, andando oltre, molto oltre.
Altra tematica privilegiata da Wildt è quella del mito: il titanismo del Prigione e di Vir temporis Acti vibrano la musica di Wagner . Inoltre, da ritrattista eccezionale quale era, con i magnifici busti colossali di Mussolini - assurto all’iconografia del Regime e fonte di fama e causa di successiva condanna - , Vittorio Emanuele III, Pio XI, Margherita Sarfatti, Toscanini e di tanti eroi di quegli anni, Wildt ha saputo creare un Olimpo di inquietanti idoli moderni.
Ma Wildt dialoga anche con chi è venuto dopo di lui: i suoi allievi all’Accademia di Brera, Fontana e Melotti,  ad esempio, e i protagonisti  dei films di fantascienza: da Guerre Stellari ad Avatar.
Paola Mola- curatrice della mostra insieme a Fernando Mazzocca  e la massima studiosa italiana di Wildt– segnala le parole-chiave per capire meglio e a fondo l’opera di Wildt: trasformazione, significati, eccesso/follia , invisibile.
Trasformazione , perché in Wildt c’è l’apoteosi delle possibilità di trasformazioni della materia, che via via viene smaterializzata , in quanto l’ascetico/mistico Wildt lavora “per via di levare”, scava quasi a consumare il marmo- che diventa un qualcosa d’altro- dischiudendoci , attraverso la porta di quegli incavi privi di bulbi oculari, la dimensione dell’invisibile, dove regna il più più recondito mistero dell’essere.
Significati, perché Wildt assimila tutta la storia dell’arte e la sublima in un divenire fuori dal tempo: in questo sta la sua libertà.
Eccesso/follia, perché Wildt attraversa , assorbendo, tempo e materia, movimenti culturali e stili, tradizione e storia, religione, tutti gli stati d’animo dell’uomo e va oltre, creando una nuova dimensione, la sua, purissima e assoluta, atemporale, siderea, lontana da tutto, ma che tutto contiene . Insuperabile, come la musica, che, forse, è l’arte che più si avvicina a Wildt.
La mostra “Wildt. L’anima e le forme” resterà aperta fino al 17 giugno 2012
(In: http://www.forli24ore.it/news/forli/0020730-vertigine-wildt)



L’altro tempo di Adolfo Wildt, Recensione di Alessandro Taglioni  (07.04.2012)
Adolfo Wildt (1868-1931)
Mostra Forlì, 11 marzo 2012

Bella e importante mostra, ricca di paragoni e riferimenti, talvolta calzanti, talvolta conformisti e bislacchi. Azzeccata la dualità Wildt-Bambaia. Un avvio interessante della mostra, che ci fa pregustare un bel  tour in compagnia dei nostri quattrocentisti del Norditalia. Forse il merletto in pietra costituito da questa somma opera di Bambaia annota che si può andare anche oltre Wildt. Tale opera annulla qualsiasi concetto di alto/bassorilievo e vale da solo l’intera visita forlivese. Opera straordinaria d’intarsio più che di scultura, tanto romanica quanto rinascimentale, elaborata in una tessitura di Damasco che ci introduce a temi che in altro modo verranno esplorati da Wildt: la pluridimensionalità, il labirinto, e l’eventualità di ottenere infinite dimensioni con la materia della scultura.
Vir temporis acti è il titolo dell’opera forse più appariscente in mostra, ma ascoltando i richiami offerti dall’Autore, il titolo assurge a motto dell’intero suo testo scultoreo. Ne emerge, in maniera solenne, sontuosa, eminente, insostanziale, il marmo. Materia straordinaria per virtù luministiche, coloristiche, sensibili e ipersensibili. Il marmo è il “padrone” assoluto di Wildt. Wildt è autore attento ai precursori, ma il suo Vir temporis acti, dalle infinite smorfie, non è propriamente avvicinabile al Sant’Antonio del Tura presente in mostra. Questo Vir, umano, rappresenta forse il dolore? Nella sua nudità speciale, ci avvia a una attenta lettura, come succede anche con altre sue opere, a partire dallo sguardo, che Wildt ottiene dal marmo con l’effetto di sottrazione in concavo. In seguito, e man mano, ci conduce verso una esplorazione vivissima e limpida dell’inumano, con la stranianza della posa e con l’esagerazione ricorrente, tali da suggerire l’astrazione, e così conclude, con capezzoli a forma di fiore etrusco, elemento del frivolo.
Ma occorre riflettere sulle basi. Le fondamenta di Wildt si costituiscono in una dualità ben precisa: l’opera classica del precursore e la preponderanza della materia fittile, da cui debordano le patine dei suoi marmi, che nella loro vita estrema, copiosa e varia, rendono vivente la superficie. Sono patine pellicolari, filmiche, decisive. Le varie mani di lucidatura fatta a polvere valgono la pergamena eterna del supporto scritturale. Quale scrittura? Quella dell’inchiostro scalpellare, quella che l’Autore rende attraverso la sua particolare esagerazione, fra la luce e il buio estremo, quasi cercando lo sguardo. L’emissione dell’avorio che contrasta variamente con le notti labirintiche degli orifizi orbitali e acustici. Fino al labirintico e leggero Orecchio, che è già ben avanti nell’astrazione, fino a superare qualcosa che avviene dopo di lui, doppiando il suo più famoso allievo astrattista Lucio Fontana. E qui è già l’invenzione astratta.
Seguendo la carrellata nella sala principale, troviamo anche il Prigione barocco, troviamo una bella interpretazione del Giano bifronte, Carattere fiero, anima gentile, del 1912, con il vezzo di una leggera doratura.
Ma al di là delle mitologie, si pone una questione non da poco: Wildt è forse l’ultimo milanese, nonché l’ultimo italiano, fra i veri ritrattisti che operano con la vera materia originaria. Addirittura fra gli ultimi che riusciranno a scrivere qualcosa intorno al tema solenne del martirio.
Martirio: in quest’opera che data 1895, la martire è una giovane ragazza con fazzoletto. È un ritratto eccelso e gentile, con dedica incisa: Martirologio. Elogio di sobrietà, solennità e umiltà. Così avviene pure con la serie delle vedove, che esemplificano l’humilitas borromeiana, tanto per rimanere milanesi.
Banale invece la scelta di accostare Wildt a Casorati, con il suo manierismo metafisico. In Wildt non c’è alcuna metafisica e tanto meno avanguardismo. L’orecchio, e così molte altre sue opere, sono sulla via di una specialissima astrazione che non tiene conto del tempo presente ma dell’altro tempo. L’Autore si trova in questo altro tempo, al ritmo di battere e levare, a partire dalla tecnica dall’intreccio o forse dalla traccia antica, risonante, che elabora una sua particolare accezione di ecografia.
Oltre, la tavola di Crivelli, presente in mostra, Madonna della passione del 455-60, è una tempera 48×71. Madonna archeggiata da una corona di frutta, con particolari fiamminghi: opera di rilievo. La Mater purissima di W. non c’entra granché con Crivelli, nonostante la trovata o l’effetto speciale di una aureola che si solleva dal fondale su un volto staccato in altorilievo. Le sue madonne, variamente presenti in mostra, forse sono le produzioni che più danno l’adito a un certo manierismo. Ma invece i ritratti sono di materia vera.
Troviamo poi un tardo Bergognone, una Madonna con bambino (del 512)?, forse ritoccata; nello sfondo riquadrato, un santuario e la sua isola, con la bella madonna che porge il velo. Qui c’è ancora traccia della solennità che sarà in lutto dopo il 400 e per sempre. Al piede dell’opera la conclusione: da una parte il libro, dall’altra il frutto.
L’impostazione di W.: frontalità e multidimensionalità. La lettura deve avvenire su tre facce: la postura restituisce più dimensioni, come nell’esempio del ritratto di Grubicy. Quindi W. intende argomentare la prospettiva con il solo argomentare una particolare postura nel ritratto.
Sempre esagerando, come nell’esempio di Toscanini. I ritratti sono emblemi? I suoi straordinari ritratti fanno in tempo a sbocciare con dettagli e i marginalia dell’intreccio: catene, volute, anfratti, quali corollari del labirinto: verso l’astrazione, e vedremo poi quale.
Piove inaspettato in questa occasione il Sant’Antonio di Cosme Tura. Regale e in avvicinamento. In quest’opera, avvenente, nel senso che ci restituisce l’istante dell’avvenimento, si tratta dell’emergenza del tempo. Con una certezza. Il santo si sta dirigendo proprio verso noi lettori, proprio nella nostra direzione. Alle spalle di Antonio il mare, forse Adriatico; colori acidi, acuti, veste-saio robusta, scultorea in bellissima terra di Siena. L’incalzare del suo passo è quello che abbiamo intravisto fra gli uomini delle nostre colline adriatiche, leggero, deciso e inquieto. Il passo e il piede del tempo. E poi il volto: indescrivibile e intraducibile nella lingua di oggi, con la sua quantità di grinze e di smorfie che poco hanno di umano e molto hanno invece della piega. In questo straordinario ritratto di Antonio, il giglio e il libro concludono la nostra lettura e costituiscono quasi un punto di distrazione ma anche di sollievo rispetto all’assenza di ritratto che è seguita con le avanguardie.
Il Pio XI del Vaticano, titanico, del 1926, sembra ispirato a qualche antica macchina d’altare, o forse no. Più un marchingegno da paese dei balocchi, artificioso, che però rende bene l’idea del ritratto di qualcosa che va oltre l’uomo e oltre lo stesso papa. Che si tratti del tentativo di ritrarre la chiesa tout court?
Mentre il ritratto di Ferrarin è un fronte-retro particolare, ancora la dualità: la parte del concavo è astratta, con bella doratura, con effetto di tridimensione sbrecciata. Opera moderna, tranciata (questa è una resa del taglio che l’Autore riprende in altre opere e in altre fogge).
La parte convessa ha l’occhio in sottrazione, e sottrae lo sguardo del lettore. Vale da punto di fuga prospettico per l’intero ritratto. Come avviene, forse per rimanere in tema, nel caso dell’opera Santa Lucia.
Poi c’è un San Francesco nelle due versioni in marmo e bronzo. Nel marmo, l’occhio destro prende luce dalla tempia destra, che fa a sua volta accendere la materia dell’incavo dell’occhio, così da ottenere un effetto carnale e pellicolare, con tanto di tramatura venosa grazie alla materia marmorea. È un san Francesco elegante, il minimo che possiamo dire, con la sua piccola aureola in metallo, miniata per via della giusta dimensione (1926).
Infine Il puro folle. Che possiamo anche dire parfallo o più noto come Parsifal. Un senza fallo oppure un Pare che si falli? Precisione e perfezione di un tema: un piede in una direzione, la gamba in un’altra direzione, l’uno in sù, l’altra in giù. Il corpo si muove in svariati sensi. il sesso di questa figura apparentemente umana, apparentemente maschile, risulta assente, quindi puro. Mentre il volto è quello dello stupore: ritratto perfetto!
Il grande libro di Wildt, in breve, si attiene al sacro, “anche troppo”. Non a caso si tratta soprattutto della ritrattistica di santi cattolici e santi laici, papi, madonne e artisti. Niente sessismo, niente rappresentazioni di facili scabrosità, tette, culi e via discorrendo. Artista degno.
Cosa ci suggerisce W. ancora? Che il cosiddetto simbolismo sarà trapiantato pienamente nel 900 con l’arte concettuale, ma questo ci importa meno. Ci importa invece che nei suoi disegni l’albero sia quello dell’astrazione e che diventi l’astro, quell’astro che, il curatore della mostra, avvicina, a giusto titolo, a un’hydria con il suo bel fiore attico e in qualche modo etrusco.
Per W. esiste l’albero dell’astrazione che ha intitolato alla musica e alla poesia, niente di più semplice e assoluto, di fine e intelligente. Ecco un maestro che trova anche il tempo, in uno dei disegni successivi, di sottolineare la distinzione fra religione e fede".
(Da: http://blog.taglioni.com/2012/04/laltro-tempo-di-adolfo-wildt-a-forli/)

Bibliografia
1. Mola, Paola, I gessi di Wildt a Ca' Pesaro : l'impresa della donazione / Paola Mola - Ravenna : Longo, [1999?] - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\IEI\0337555]
2. Mostra gallaratese d'arte <2. ; 1924-1925> - 2. mostra gallaratese d'arte : Salone municipale 20 dicembre 1924-11 gennaio 1925 - Varese ; Milano : Arti grafiche varesine, <1924> - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\LO1\0082927]
3. Biennale d'arte <4. ; 1928-1929 ; Gallarate> - 4. biennale d'arte a Palazzo Broletto : 23 dicembre 1928-20 gennaio 1929 - Varese : Stabilimento tipografico "Cronaca prealpina", 1928 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\LO1\0083883]
4. Omaggio a Wildt / [a cura di Gustavo Botta e Giovanni Scheiwiller] - [S.l. : s.n.], stampa 1932 (Milano : Tip. Card. Ferrari) - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\LO1\0474783]
5. Trentacoste, Domenico, Adolfo Wildt commemorato all'Accademia d'Italia : Roma, 11 marzo 1933 / da Domenico Trentacoste - [S.l. : s.n.], 1933 (Milano : L'eclettica) - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\CUB\0643623]
6. Latronico, Nicola, La maternità e l'infanzia nelle sculture di Adolfo Wildt - [Lecco! : La rivista di Lecco, 1933 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\LO1\0913478]
7. Wildt, Adolfo, Le grandi giornate di Dio e dell'umanità / disegni di A. Wildt a favore Opera naz. orfani di guerra di p. Semeria - d. Minozzi e Associazione nazionale Cesare Beccaria - Milano ; Roma : Bestetti e Tumminelli, XIII [1934-1935] - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\LO1\0103215]
8. Wildt, Adolfo - Adolfo Wildt / \a cura di! Giorgio Nicodemi. - 2. ed. - Milano : U. Hoepli, 1935. - 2. ed. - 26 p., 36 c. di tav. ; 17 cm - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\NAP\0099308]
9. Wildt, Adolfo - Adolfo Wildt / Giorgio Nicodemi  - Milano : U. Hoepli, 1945 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\CUB\0676293]
10. Adolfo Wildt: disegni : 22 maggio-15 giugno 1969, Galleria Rizzoli, Roma  - [S.l. : s.n., 1969?] (Milano : Rizzoli) - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\BVE\0458185]
11. Disegni di Adolfo Wildt : 1868-1931 / [a cura di Giuliana Olcese] - Milano : Galleria dei bibliofili : Scheiwiller, 1972 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\SBL\0453676]
12. Adolfo Wildt, 1868-1931 : drawings & sculpture : 8th october - 2nd november 1974 / [testo di Godfrey Pilkington] - London : The Piccadilly Gallery, [1974?] - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\IEI\0336489]
13. Mola, Paola, Adolfo Wildt : note biografiche e critiche dal 1894 al 1912 / Paola Mola - [S.l. : s.n., 1983?] (Firenze : Arti grafiche Giorgi & Gambi) - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\IEI\0337562]
14. Mola, Paola, Copie dall'antico : comunicazioni in margine alla produzione di Adolfo Wildt / Paola Mola - Milano : ET, 1986 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\IEI\0337564]
15. Disegni di Adolfo Wildt : (1868-1931) / a cura di Giuliana Olcese e Vanni Scheiwiller - Milano : All'insegna del pesce d'oro, 1988 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\RAV\0235229]
16. Il mestiere di scolpire : per la mostra di Adolfo Wildt : Galleria Gian Ferrari, Milano ottobre-dicembre 1988 / Paola Mola ; con una nota di Claudia Gian Ferrari - Milano : Franco Maria Ricci, c1988 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\TO0\1102037]
17. Mola, Paola, Wildt / testo di Paola Mola ; prefazione di Vanni Scheiwiller ; con L'arte del marmo, di Adolfo Wildt - Milano : F. M. Ricci, \1988! - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\CFI\0132021]
18. Aspetti della scultura contemporanea: 1900-1989 / [a cura di! Pier Carlo Santini - Casalecchio di Reno : Forni scultura ; Grafis, [1989! - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\UBO\0143323]
19. Mola, Paola, Wildt / text by Paola Mola ; preface by Vanni Scheiwiller ; with The art of marble by Adolfo Wildt - Milano : F.M. Ricci, 1991 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\IEI\0337553]
20. Mola, Paola, Scultura e antiscultura alle origini del Novecento : i casi Wildt e Medardo Rosso / Paola Mola - Macerata : \s.n.!, 1994 (Macerata : Biemmegraf) - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\UMC\0054400]
21. Spazi, forme, volumi : sculture di Adolfo Wildt e Lucio Fontana : giugno-luglio 1995 - Roma : Studio Sotis, 1995 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\IEI\0273749]
22. Adolfo Wildt e i suoi allievi: Fontana, Melotti, Broggini e gli altri / catalogo a cura di Elena Pontiggia - Milano : Skira, ©2000 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\TO0\0825711]
23. Wildt a Forlì: la scultura dell'anima / a cura di Vittorio Sgarbi ; saggi di Francesco Amendolagine ... \et al.! - Venezia : Marsilio, \2000! - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\RAV\0664851]
24. Mola, Paola, Adolfo Wildt : Il Filo / Paola Mola - Padova : Galleria antiquaria Diego Gomiero, 2004 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\IEI\0337563]
25. Anima mundi: i marmi di Adolfo Wildt : [Museo civico Floriano Bodini, Gemonio, 15 luglio-28 ottobre 2007] / mostra a cura di Daniele Astrologo Abadal, Stefano Crespi, Alberto Montrasio ; saggi di Daniele Astrologo Abadal ... [et al.] ; catalogo a cura di Daniele Astrologo Abadal, Ruggero Montrasio - Cinisello Balsamo : Silvana Editoriale ; [Milano] : Montrasio Arte, 2007 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\LO1\1148988]
26. Wildt : l'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt : Forlì, Musei San Domenico, 28 gennaio-17 giugno 2012 - [Forlì : Musei San Domenico, 2012?! - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\LO1\1405249]
27. Wildt: l'anima e le forme / mostra a cura di Fernando Mazzocca e Paola Mola ; catalogo a cura di Poala Mola - Cinisello Balsamo : Silvana, 2012 - Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\MOD\1598051]
(Per le voci bibliografiche 1-27: Copyright © 2010 ICCU |Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche - si ringrazia).



San Fruttuoso (Camogli). Abbazia. Livello cripta Tombe Doria. 
Sarcofago "Filosofo Docente". 
Foto di Giovanni Pititto. 







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