Santuario della Madonna delle Grazie.
Tombe Brignole-Sale, marchesi di Groppoli. Foto di Giovanni Pititto (29 maggio 2011)
August Dumont, Monumento funerario Antonio Brignole-Sale, marchese di Groppoli.
01. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie.
02. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie.
03. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie.
04. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie. August Dumont, Tomba Antonio Brignole-Sale, marchese di Groppoli.
05. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie. August Dumont, Tomba Antonio Brignole-Sale, marchese di Groppoli.
06. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie. August Dumont, Tomba Antonio Brignole-Sale, marchese di Groppoli.
07. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie. August Dumont, Tomba Antonio Brignole-Sale, marchese di Groppoli.
08. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie. August Dumont, Tomba Antonio Brignole-Sale, marchese di Groppoli. Epigrafe.
09. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie. August Dumont, Tomba Antonio Brignole-Sale, marchese di Groppoli. Insegne ducali.
10. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie. August Dumont, Tomba Antonio Brignole-Sale, marchese di Groppoli. Cartiglio laterale.
11. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie. August Dumont, Tomba Antonio Brignole-Sale, marchese di Groppoli. Cartiglio laterale.
12. Voltri. Santuario della Madonna delle Grazie. August Dumont, Tomba Antonio Brignole-Sale, marchese di Groppoli. Veduta laterale.
NOTE
BRIGNOLE SALE, Antonio
Dizionario Biografico degli Italiani
di G. Locorotondo
BRIGNOLE SALE, Antonio. - Nato a Genova il 22 maggio 1786 da Giulio e dalla senese Anna Pieri, nel 1798 fu mandato a proseguire gli studi nel collegio Tolomei di Siena, insieme al primogenito Rodolfa, poi entrato nel sacerdozio, da cui gli sarà trasmesso il titolo marchionale di Groppoli. Li il B. acquistò padronanza della lingua italiana, mostrando attitudine per la letteratura e coltivando l'arte della declamazione (della quale avrebbe dato numerosi saggi recitando tragedie affieriane nel teatrino domestico della sua villa di Voltri), si formò una solida cultura e completò gli studi di diritto.
Con decreto del Senato di Genova del 25 maggio 1805 il B. fu nominato membro aggiunto della deputazione di 10 senatori (costituita il 10 aprile, unitamente alla deputazione di 10 dame, tra le quali sua madre; v. Annali della Repubblica ligure, IV, pp. 150-151), che aveva l'incarico di chiedere a Napoleone, a Milano per l'incoronazione a re d'Italia, la riunione della Liguria all'Impezo francese.
La missione è stata da non pochi s torici giudicata un gesto tralignante dalla tradizione di fiera indipendenza dell'antica Repubblica, compiuto da aristocratici degeneri abbindolati dalle arti del Saliceti e addirittura comprati dall'oro francese. In realtà, benché in quella primavera 1805 l'indipendenza genovese fosse nulla più che un ricordo, l'argomentazione di qualche biografo del B. (Napoleone, restaurando con il concordato del 1901 la pace religiosa compromessa dalla politica del Direttorio.1 si sarebbe accattivato simpatie facendo bene sperare per gli interessi dei cattolici liguri) tradisce lo sforzo di accreditare una giustificazione di tipo, per così dire, selettivo a favore dei cattolicissimi Brignole madre e figlio.
In quello stesso anno il B. iniziò, in compagnia di due giovani amici, un lungo viaggio d'istruzione attraverso la Francia, la Danimarca, la Prussia e altri paesi dell'Europa settentrionale, scrivendo un diario (esaminato da D. Clerico) che può interessare anche per la conoscenza di quei paesi negli anni dei trionfi napoleonici. Fu condotto poi a Parigi dalla madre che, dopo la morte a Firenze del marito per tifo nel 1802, curava energicamente l'educazione e gli interessi dei figli, e che nella capitale francese entrò presto in relazione con personalità del mondo politico, divenendo addirittura dama d'onore dell'imperatrice Maria Luisa. Il 12 ag. 1807, a ventun anni, il B. fu nominato uditore del Consiglio di Stato. Distintosi per capacità e assiduità (una sua relazione sulla fondazione del regno d'Olanda meritò gli elogi dello stesso Napoleone), il 7 giugno 1809 fu nominato segretario generale del Consiglio straordinario per la liquidazione del debito pubblico della Toscana, e partì così per l'Italia per assumere il nuovo mcanco, subentrando al marchese Cesare Balbo. Il B., che il 26 apr. 1808 aveva sposato la marchesa Artemisia Negrone destinata a brillare per le sue molte doti a fianco del marito, rimase a Firenze due anni, assolvendo (doveva conciliare i voleri dell'imperatore con gli interessi della Toscana) il delicato compito di riportare il debito pubblico di quella regione al Monte Napoleone, creato dal Bonaparte con lo scopo - peraltro non conseguito - di risanare le finanze.
Nell'aprile 1811, chiusi i lavori, il B. ritornò a Parigi. Qui il 5 luglio ebbe la carica di maître des requêtes al Consiglio di Stato, e fu destinato alla sezione dell'Interno; fu quindi, a più riprese, membro della Commissione del contenzioso e delle petizioni. Il 30 ag. 1811 gli fu conferito il titolo di conte dell'Impero con maggiorasco. Il 7 marzo 1812 fu nominato commendatore dell'ordine imperiale della Réunion. Il 24 dic. 1812 la solerte marchesa madre sollecitò per lui la prefettura di Montenotte, cioè di uno dei tre dipartimenti in cui era stata divisa la Liguria dopo l'incorporazione nell'Impero, e nella cui capitale Savona era stato prigioniero Pio VII. La nomina venne, il 12 marzo 1813, quando la carica era stata lasciata vacante dal conte di Chabrol, spietato strumento della politica napoleonica nei confronti del pontefice. Il B., che un rapporto della commissione imperiale della polizia di Genova aveva indicato, insieme con il fratello, fra le persone che inviavano soccorsi a Pio VII prima del suo trasferimento a Fontainebleau, alla fine del gennaio 1814 accolse alla testa della cittadinanza in festa il pontefice che ritornava a Savona e gli riservò cure così premurose da essere chiamato dal papa "il mio buon carceriere". Il 17 marzo 1814 il B. ebbe la gioia di comunicargli la decisione di Napoleone di restituire a libertà il capo della Chiesa cattolica.
Il B. resse la prefettura di Montenotte per quattordici mesi, dimostrando notevoli capacità politiche e amministrative. Le relazioni che inviava mensilmente al governo centrale erano redatte con tale cura e tale acume che non poche di esse recano in margine postille ministeriali di vivo apprezzamento e di grande soddisfazione. In una relazione redatta dopo la battaglia di Lipsia riferiva sulle mene segrete tramate nel suo dipartimento dagli emissari che Murat, stretti segreti accordi con l'Austria, stava disseminando per tutta la penisola con l'intento non solo di conservare il suo regno, ma di estenderlo a tutta l'Italia. In una altra relazione, del 6 luglio 1813, nel riferire i buoni risultati della leva diretta ad ingaggiare in un corpo di guardia d'onore i rampolli delle famiglie benestanti, capaci di mantenersi a proprie spese, e nel sottolinearne l'effetto positivo di sottrarre all'ozio la gioventù votandola al servizio della patria, non mancava altresì di far notare il vivo desiderio di pace dell'intera popolazione. In un dispaccio del 10 agosto informava il governo centrale della comparsa nelle acque di Savona di navi nemiche minaccianti lo sbarco e attribuiva la manovra al Murat. In dispacci del 1º settembre, 10 ottobre e 12 novembre insisteva sulla stanchezza prodotta dalla guerra nella popolazione, annunciava l'invasione austriaca dell'Illiria, rendeva noti i proclami del Murat invitanti la Liguria a unirsi alle altre parti d'Italia contro la Francia.
Quando il 29 apr. 1814 gli Anglo-siciliani di Bentinck invasero la Liguria, restaurando la Repubblica del 1797, il B. aprì le porte di Savona solo quando ebbe notizia dell'abdicazione di Fontainebleau gesto apprezzato dagli stessi alleati che lo invitarono a restare al suo posto. Il B. rifiutò e, dopo essersi recato a Torino per consegnare i documenti della sua gestione al principe Borghese, si ritirò a Genova da dove spedì a Parigi (2 maggio 1814) l'ultimo dispaccio informativo sul corso degli avvenimenti.
A Parigi i plenipotenziari delle potenze vincitrici avevano siglato un articolo segreto (art. 20 del trattato) che prevedeva "un accroissement de territoire" a favore del re di Sardegna a spese dell'"Etat de Gênes", mentre "le port de cette ville résterait libre". Sperando nella possibilità di abrogazione di un articolo "segreto", e abbandonandosi ad una interpretazione estensiva delle intenzioni alleate sulla "libertà" prevista per il porto genovese, il governo ligure stabilì di inviare a questo scopo un suo rappresentante al Congresso di Vienna. Cadute le candidature D. Grillo-Cattaneo e S. Rivarola, fu scelto il B. che a Vienna poteva fare assegnamento sull'influenza del cognato duca di Dalberg, uno dei rappresentanti della Francia, e sulle relazioni della madre, che accompagnava nella capitale austriaca l'ex imperatrice Maria Luisa e che godeva della stima del Metternich.
Con il segretario Giorgio Gallesio di Finale (il cui Saggio storico, redatto dopo l'adesione alla monarchia sarda, costituisce assieme al resoconto Quelques erreurs réfutées ou Exposé de la conduite du marquis A. Brignole, scritto dal B. nel 1816, una delle fonti principali sulle vicende viennesi della delegazione ligure), il B. giunse a Vienna il 2 sett. 1814, quando i ministri plenipotenziari erano ancora impegnati in conferenze preparatorie ai Bagni di Baden.
Il B. manovrò subito per ottenere udienze da parte dei personaggi più influenti, sottoponendo diverse soluzioni alternative. Ma il Metternich e il Castlereagh poterono assicurarlo soltanto del loro appoggio per far accordare alla città di Genova privilegi adeguati; Francesco I dichiarò di non essere interessato alla creazione di un principato ligure sotto un arciduca austriaco; l'imperatore Alessandro e il re Federico Guglielmo III, privi di mire in Italia, gli rifiutarono udienza. Solo lo spagnolo Gomez Labrador, impegnato ad ottenere la Toscana per la regina d'Etruria, ritenendo la Liguria una eventuale adeguata alternativa s'impegnò a sostenere la trasformazione della Repubblica ligure in principato. Tuttavia, benché non richiesta ufficialmente, la combinazione diplomatica fu respinta dal Comitato delle otto potenze. Al Comitato il B. inviò l'11 ottobre la famosa memoria pubblicata da N. Bianchi (I, pp. 357-366) sotto il titolo di Note présentée par le marquis Brignole-Sale,plénipotentiaire de l'Etat de Gênes aux Ministres des Puissances Alliées accréditées au' Congrès de Vienne, rimasta nobile documento del buon diritto di Genova all'indipendenza, nonché testimonianza della chiaroveggenza politica del Brignole. Vi sosteneva che la Repubblica ligure non aveva perso la sua indipendenza legale né in conseguenza dell'occupazione (che "ne peut pas opérer une transmission de droits") né in conseguenza dell'unione alla Francia (sanzionata da un governo che non aveva alcun diritto di stipularla). Inoltre l'ingrandimento del Regno di Sardegna con il territorio della Repubblica, allo scopo di creare ai confini sud-orientali della Francia uno stato sufficientemente potente per contrastarne eventuali mire espansionistiche, non garantiva né l'isolamento della Francia né il mantenimento della pace generale in Europa. Con sorprendente lungimiranza, il B. tracciava le direttrici fondamentali di sviluppo sia della politica "nazionale" del regno subalpino, sia della politica "italiana" dello Stato francese, in opposizione al quale si voleva decretare il potenziamento del primo. "Situé au pied des Alpes, en contact avec les pays les plus fertiles de l'Italie, et qui ne forment, pour ainsi dire, qu'une continuation du Piémont", potrà questo "se défendre de l'idée et de l'esprit de s'agrandir, de se rendre indépendant, de recomposer enfin ce Royaume dont il est le noyau, et dont la réunion, indiquée par la nature, forme dejà le projet d'un partì nombreux, qui regarde dès ce moment la Maison de Savoie comme son appui et son espoir?". Per "s'emparer de l'Italie", scriveva il B., il Piemonte profitterà delle "querelles des autres Puissances" e mercanteggerà la sua alleanza. "La France convaincue de l'impossibilité et de l'inutilité de s'emparer elle même de cette belle Péninsule, doit craindre qu'elle ne tombe toute entière dans les mains de l'Autriche, et doit seconder les projets du Roi de Sardaigne". Poiché da questo sviluppo degli eventi non poteva non derivare - secondo il B. - "le bouleversement de l'Europe", era evidente "le manque de but, que l'on se serait proposé en stipulant l'agrandissement du Piémont".
Le argomentazioni del B. impressionarono il Metternich, preoccupato anche dell'attività di gruppi rivoluzionari genovesi e delle voci secondo cui il governo ligure si disponeva a fare sacrifici pecuniari per comprarsi partigiani della propria indipendenza. La conseguenza fu però la convocazione per il 13 novembre del Comitato delle otto potenze per deliberare urgentemente l'unione di Genova al Piemonte. Al B. non rimase che protestare.
Pur persa ogni qualifica diplomatica il B. presentò allora ai plenipotenziari del Congresso un progetto di costituzione, trovato "bellissimo" da G. Serra. capo del governo genovese, ma assolutamente inaccettabile dal marchese di San Marzano, che vi ravvisò giustamente l'espressione non dei voti della maggioranza della popolazione ligure ma degli interessi dell'antica nobiltà, e una grave limitazione dei poteri del re e degli stessi vantaggi derivanti dall'aggregazione del territorio e della popolazione liguri. Ugualmente respinta fu la proposta del B. di promulgare una costituzione comune a tutte le province del regno sardo, "simile a quella promulgata da Luigi XVIII in Francia" e che si diceva fosse vista con favore perfino dal San Marzano. Furono invece approvate dal Comitato degli otto i 18 articoli nei quali una apposita Commissione di tre membri aveva fissato le condizioni e i privilegi da accordarsi ai Genovesi. Questi articoli, benché il governo provvisorio genovese per mezzo del proprio rappresentante a Vienna li dichiarasse nulli, facendo pervenire ai ministri plenipotenziari una ulteriore protesta, furono invece considerati accettabili dal B. che, secondo il Saggiostorico del Gallesio, li avrebbe ritenuti male minore per i Genovesi rispetto all'esser dati senza condizioni in balia del governo sardo e, secondo il rapporto della Commissione dei tre, li avrebbe trovati rispondenti "aux voeux de ses concitoyens".
Divenuto ormai suddito sardo, il B. fu invitato reiteratamente da Vittorio Emanuele I a ricoprire una carica pubblica. Riconoscendo infatti il talento del giovane patrizio, il re aveva manifestato sin dall'ottobre 1814 al San Marzano (nel quadro di una manovra tendente ad accattivarsi il B.) rintenzione di accordargli "d'abord une place diplomatique de second ordre, et, s'il le fallait, même de premier". Il 20 dic. 1815 il B. veniva nominato ministro plenipotenziario presso la Corte di Toscana, con l'incarico (v. Istruzioni del re del 28 genn. 1816) di "adoprarsi per una alleanza tra Toscana e Sardegna", prospettandone "con accortezza" l'utilità al granduca che, pur appartenendo alla famiglia imperiale austriaca, era e si sarebbe mostrato (v. i dispacci del B. da Firenze del 17 apr. 1817, e del 18 dic. 1818) non alieno dall'affrancarsi seppure con prudenza dalla tutela di Vienna. Il negozio più importante trattato dal B. durante i suoi due anni di permanenza in Toscana (fino al 27 dic. 1818) fu il matrimonio tra Carlo Alberto e Maria Teresa, secondogenita del granduca di Toscana; il patto nuziale fu stipulato more principum con solenne trattato diplomatico firmato a Firenze dal B., in rappresentanza del re di Sardegna, il 29 sett. 1817.
Il 15 maggio 1819 il B. fu destinato ministro a Madrid. Si trattò in certo senso di una promozione (occorreva per intanto rintuzzare la pretesa del "ministro di Madrid" che la Sardegna, "mancando la linea maschile della famiglia regnante", dovesse tornare alla Spagna) ma i coniugi B. avvertirono una sfavorevole impressione nel paragone tra la vecchia e la nuova sede, particolarmente aborrita dalla marchesa Artemisia che si lasciò andare a comporre epigrammi sopra persone e cose, e quindi stentò a trovare nella società spagnola l'accoglienza merietata (v. lettere del conte L. Brunetti alla contessa d'Albany). Tra i dispacci inviati a Torino dal B. si ricorda quello del luglio 1820, nel quale presentava la "disposizione" che avrebbe manifestato Bolivar a desistere dall'intrapresa rivolta e a riunirsi alla madre patria come "il più bel frutto che a beneficio della Spagna e dell'umanità prodotto avesse il sistema Costituzionale".
Quando il 13 marzo 1821, dopo l'abdicazione di Vittorio Emanuele I, venne proclamata in Piemonte la costituzione, se il B. non elevò un inno di giubilo, non manifestò neppure contrarietà (del resto poco più di sei anni prima, a Vienna, aveva invocata una costituzione per Genova, e poi per tutti gli Stati sardi, Genova compresa), e comunque rimase presso la corte spagnola e rappresentare il governo dei rivoluzionari, tra i quali si distingueva l'amico Giacinto di Collegno. Non stupisce pertanto se, ripristinato da Carlo Felice l'antico ordine, il 30 apr. 1821 un dispaccio da Modena lo avvertiva che "le circostanze personali di V. E. non meno che quelle del R.o Servizio non consentono più oltre il di lei soggiorno in una residenza da lei sì degnamente occupata". Si trattava di una vera e propria rimozione. Il B. lasciò Madrid il 16 giugno 1821, trasferendosi a Parigi da privato cittadino.
Di qui l'anno seguente (lett. 18 ott. 1822 al ministro degli Esteri conte Della Torre) rifiutava una missione a Costantinopoli (con lo scopo di condurre a termine le trattative avviate dal barone di St. Laurent per la "stipulazione di un trattato di commercio che assicurasse alla R. Bandiera il libero accesso del Mar Nero e rendesse più facile il traffico pei commercianti Sardi negli scali di Levante e in Egitto"), adducendo ragioni "domestiche", ma probabilmente anche per scarso interesse (tuttavia nel gennaio 1825 inviò al ministro un resoconto sulle ricerche fatte a Genova sugli antichi rapporti della Repubblica genovese con la Turchia) e per timore del colera che infieriva in quelle contrade. Tornato in patria, fu dal 1825 al 1831 sindaco di Genova.
Essendo tuttora in corso di ordinamento la sezione ottocentesca dell'Archivio storico di quel Comune, non è stato possibile approfondire l'azione svolta dal B. come prImo cittadino. Si sa tuttavia che, dotò la città di molti edifici e istituti pubblici e che, rimasto devoto alla città natale, riservò ad essa le principali manifestazioni della sua filantropia e del suo mecenatismo (si attribuisce alla sua generosità l'ospizio per gli alienati e il bel Teatro intitolato a Carlo Felice). Scoppiato poi, mentre ricopriva anche la carica di presidente degli ospedali di Genova, il colera che menò strage tra la popolazione, diede prove di coraggio e di abnegazione a favore degli sfortunati concittadini.
Intanto nel giugno 1826 il B. aveva accettato di rappresentare, in qualità di ambasciatore straordinario, il re di Sardegna alla cerimonia solenne dell'incoronazione dello zar Nicola I. Benché la missione (il B. vi dispiegò una magnificenza non inferiore a quella dei rappresentanti delle più grandi potenze) non avesse "d'autre but ostensible", tuttavia il re gli aveva fatto comunicare "les dépêches et les rapports qui concement les affaires d'Orient et l'Etat interieur de la Russie", e probabilmente in vista di un approfondimento in questa direzione essa si protrasse fino all'ottobre 1826. Rientrato già decorato delle grandi insegne dell'Ordine reale dell'Aquila Bianca di Polonia, il B. ebbe anche la Gran croce mauriziana unitamente al titolo d'eccellenza (la Gran croce dei Ss. Maurizio e Lazzaro gli era stata conferita al ritorno da Madrid, mentre il 21 apr. 1824 era stato creato gentiluomo di camera del re). Il 15 sett. 1831 fu nominato consigliere di Stato straordinario annuale per la divisione di Genova, e il 4 ott. 1831 ebbe la nomina a ministro di Stato.
Il fatto più importante di questo periodo della sua vita fu però la nota indirizzata a Carlo Alberto nel 1833, dopo la spietata repressione dei moti di quell'anno, e la pubblicazione dell'opuscolo scritto da F. Dal Pozzo, Della felicità che gli italiani possono e debbono dal governo austriaco procacciarsi.
La nota, intitolata Pensées et voeux politiques (V. Manno, pp. 14-18), dimostrava acume e coraggio politico e rimane - la richiesta di costituzione del '14 essendo troppo manifestamente ispirata a interessi municipalistici - l'unico autentico documento della cosiddetta "fase liberale" del patrizio ligure. Definito "infame brochure" il libretto del Dal Pozzo. "peutêtre même provoquée sous main" dal governo austriaco, ne riconosceva l'utilità nella misura in cui richiamava la necessità di operare riforme idonee a porre l'amministrazione del Piemonte, se non al di sopra, almeno sullo stesso piano di quella austriaca in Lombardia, "plus régulière que chez-nous, et sourtout beaucoup plus éclairée". Ma il soggetto più "épineux" e più "dangereux" che egli affrontava, "au risque de sa disgrâce", era la repressione dei moti. Con la punizione dei colpevoli, secondo il B., il governo sardo si era lasciato prendere nelle pieghe della "astucieuse et infernale" politica dell'Austria, la quale, nonostante "le déspotisme affreux" esercitato in Lombardia, non aveva mai fatto eseguire dal 184 le condanne a morte decretate dai suoi tribunali, mentre, ricavando immenso vantaggio dal contrasto, non solo permetteva, ma sollecitava negli altri Stati l'invio "à l'échafaud" dei "coupables politiques". Abbandonandosi quindi a una profezia, dal Faldella definita "stupenda", vedeva i "braves de toutes les autres parties de l'Italie" riunirsi intorno all'"armée courageuse et brave" del Piemonte, che, a sua volta "réunie avec une armée française", avrebbe conquistato "dans dix semaines toute l'Italie" all'insorgere della crisi destinata "inévitablement" ad aver luogo "dans peu d'années".
Il ritorno del B. alla diplomazia. avvenne soltanto dopo la nomina a ministro degli Esteri del "reazionario" Solaro Della Margherita, e dopo che verosimilmente le due relazioni fatte pervenire nel maggio 1835 al conte di San Martino avevano ridimensionato i "noiosi, disgraziati... affari di Spagna". Il 29 Maggio 1836 il B. fu destinato ambasciatore a Parigi, l'unica sede diplomatica con rango d'ambasciata dove sarebbe rimasto dodici anni ostentando magnificenza - sostenuta con propri mezzi - e conquistandovi prestigio e influenza superiori all'importanza del paese rappresentato, tanto da essere chiamato "le grand ambassadeur du petit Roi". Adatto quant'altri mai, anche per il suo immenso patrimonio, a incarichi di prestigio, nel maggio 1838 fu nominato ambasciatore straordinario a Londra per l'incoronazione della regina Vittoria, trattenendosi in Inghilterra fino all'agosto. Nel settembre 1846 fu autorizzato da Carlo Alberto ad assumere la presidenza dell'VIII Congresso degli scienziati, svoltosi a Genova: il B. tenne il discorso inaugurale (pp. 65-79 degli Atti, Genova 1847), Sottolineando l'utilità di quelle riunioni per superare le "basse rivalità locali" e riaffermando l'interdipendenza tra "incremento delle scienze" e "continuazione della pace". Assolse con successo anche molti incarichi diplomatici riservati. Entrato presto nelle grazie di Luigi Filippo (che, rimastogli amico pur dopo la caduta, esule a Londra, nel gennaio 1850 avrebbe tenuto a battesimo "per procura" un suo nipote), ne ricevette e trasmise a Torino non poche confidenze (v. per es. i dispacci del 5 luglio 1836, 7 genn. 1837, 18 marzo 1839, 31 ag. 1839, 27 apr. 1841).
Nei primi mesi del 1838 il B. trattò con Luigi Filippo e con il suo ministro degli Esteri Molé l'affare dell'ambasciatore francese a Torino marchese di Rumigny, sulla cui nomina Carlo Alberto aveva già avanzato riserve per il comportamento nella controversia tra il Regno sardo e la Svizzera al tempo del tentativo rivoluzionario dei fuorusciti nella Savoia. A seguito di un incidente di cerimoniale (la moglie dell'ambasciatore russo si era presentata a corte ornata di merletti bianchi, prerogativa della regina e delle principesse reali), avendo il Solaro diramato ai diplomatici stranieri a Torino una circolare per ricordare la costumanza, il Rumigny indirizzò, una nota insolente al ministro degli Esteri sardo che, tramite il B., chiese ed ottenne il richiamo del "poco diplomatico" diplomatico (dispacci 11 genn. e 24 marzo 1838).
Nell'ottobre 1840 il B. trattò con il Thiers il tema della neutralità piemontese in caso di guerra tra la Francia e le potenze che l'avevano esclusa da un accordo sulla questione d'Oriente, tornata d'attualità a seguito del tentativo del viceré d'Egitto di rendersi indipendente dalla Porta. Avendogli il Thiers dichiarato di considerare la neutralità piemontese di fatto utile all'Austria ( e per la verità il Solaro si era già posto dalla parte dell'Austria), ed essendo giunto a minacciare di mettere sottosopra l'Italia facendo piantare il tricolore sulle Alpi, il B. osservò che se nelle città e tra le classi medie lo spirito liberale e nazionale scaldava molti cervelli, il popolo minuto e gli abitanti delle campagne sarebbero rimasti certamente inerti di fronte a eventuali provocazioni rivoluzionarie francesi (dispaccio 24 ott. 1840).
Il 1848 fu l'anno di maggiore impegno diplomatico del Brignole-Sale. Licenziato nell'ottobre 1847 il Solaro, del quale aveva interpretato per tanti anni fedelmente la politica, e caduto nel febbraio 1848 Luigi Filippo, che ancora il 3 febbraio egli aveva ritenuto sicuro e stabile presidio contro la rivoluzione, il B. si trovò a fare da intermediario tra un governo "costituzionale", per il quale nutriva scarsa simpatia, e un governo "rivoluzionario", "dont la composition - come scriveva il 24 febbraio - ne peut: malheureusement inspirer aucune confiance aux hommes de bien". E poiché sia Torino sia Parigi non potevano ignorare i sentimenti del B., si spiega come, data anche l'eccezionalità dei tempi, le due capitali, scavalcandolo, cercarono non di rado di far conoscere i propri punti di vista per mezzo rispettivamente del marchese Alberto Ricci e dell'italianofilo Alessandro Bixio.
Non per questo tuttavia l'azione del B., che rimaneva comunque il normale canale diplomatico, nei mesi caldi del '48 fu meno importante, né meno importanti sono i numerosi dispacci da lui inviati al suo governo. Oltre quelli del 7, 9, 12 e 15 febbraio sull'atteggiamento di Luigi Filippo nei confronti del regime costituzionale promesso da Carlo Alberto, si ricordano quelli del 3, 4, 5, 11 e 17 marzo sulla fiducia del governo repubblicano che l'Austria avrebbe rispettato il diritto dei popoli a modificare le proprie istituzioni e sulla volontà della Francia di evitare, d'accordo con l'Inghilterra, la guerra tra Piemonte e Austria. Scoppiato ai primi d'aprile l'affare dei "voraces" (200 operai repubblicani appartenenti all'associazione così detta da una deformazione di horaces riuscirono a instaurare a Chambéry un effimero governo repubblicano), il B., che aveva segnalato a Torino, "sans la prendre trop au tragique", come nota il Guichonnet, la manifestazione del 19 marzo nel corso della quale 3.000 Savoiardi avevano chiesto a Lamartine l'annessione della Savoia alla Francia, compì presso il Lamartine, per incarico del governo di Torino, reiterati passi per garantire l'integrità della Savoia (v. per es. il lungo memorandum del 5 aprile). Quando il governo francese accrebbe le apprensioni del Piemonte facendo ammassare un esercito sulle Alpi, il B. (6 e 9 aprile) recò al Lamartine le proteste del suo governo. Non fidandosi però delle assicurazioni francesi, in una "reservée" al Pareto del 6 aprile (Situation de l'Italie vis à vis les grandes puissances étrangères)avvertiva che il governo francese "prend quelqu'ombrage" dai progressi dell'esercito piemontese e dal "probable accroissement prochain" della monarchia sarda e che, parlandogli il Lamartine della simpatia della Repubblica francese "envers les nations qui combattent pour leur indépendance", non aveva proferito una parola che lo autorizzasse a dedurre che ne provasse "pour notre Auguste Souverain" impegnato nella lotta di liberazione dell'Italia. Nel dispaccio del 29 aprile, parlando del tentativo di tal Bormefils di raccogliere a Parigi una legione franco-italiana destinata "à se rendre en Italie", osservava che "c'est, en général, ici une idée assez répandue que la France doit, de manière ou d'autre, aîder l'Italie", ma aggiungeva di non credere che, malgrado il linguaggio usato constantemente dal Lamartine e la formazione del corpo delle Alpi, "cette idée soit précisément celle des membres du Gouvernement provisoire". Il dispaccio riservato del 6 aprile è importante anche per altro. Il B. riferisce di un contatto tra Lamartine e Mazzini (il primo avrebbe detto che avrebbe veduto "avec assez de plaisir" la Lombardia costituita in repubblica, mentre Mazzini sarebbe stato trovato dallo statista francese "persuadé que l'Italie doit rester divisée en plusieurs Etats, et que l'unité italique serait impossible"); espone poi l'opinione "qu'il conviendrait de hâter... la manifestation d'un voeu national des diverses parties de l'Italie supérieure pour ê"tre toutes réunies sous le sceptre du Roi de Sardaigne" e la proposta di neutralizzare, se non vincere "l'esprit de localité" ("bien naturel" ed anche "louable dans les grandes villes"), stabilendo "alternativement la représentation nationale dans les villes les plus importantes".
Succeduto nel maggio al Lamartine il Bastide, la causa italiana non guadagnò un fautore. Il nuovo ministro degli Esteri, che era non solo contrario all'unità della penisola ma anche a un regno dell'Alta Italia, giunse perfino (e il B. protestò invano) a rimuovere dal suo posto negli archivi del ministero degli Esteri lo storico Mignet che aveva dichiarato pubblicamente il suo favore all'ingrandimento dei territori di casa Savoia. Ma fu dopo Custoza, e poi dopo l'armistizio Salasco, che fu messa allo scoperto la vera politica francese verso l'Italia. Benché il 28 luglio il Bastide avesse assicurato il B. che la Francia si era ormai troppo impegnata per poter rimangiare le promesse (dispaccio stessa data), quando il nuovo governo piemontese si decise a chiedere l'intervento armato francese (che il B. riteneva "una calamità") e, poi, per mezzo di Alfonso de La Marmora inviato appositamente, un valente generale francese da porre alla testa dell'esercito sardo per una eventuale ripresa della guerra, sia Bastide sia Cavaignac, presidente della Repubblica, accamparono un pretesto dietro l'altro per declinare e disattendere richieste e promesse. Il maresciallo Bugeaud, richiesto dal La Marmora, era ostile al governo; la convenzione per l'intervento (le cui condizioni erano state esposte in un dispaccio inviato per corriere al B. alle due del mattino del 4 agosto) non poteva essere stipulata dovendosi attendere l'esito della mediazione che si stava per offrire congiuntamente dalla Francia e dall'Inghilterra (dispacci del 9 e del 10 agosto). Il 31 agosto il B., a seguito di un nuovo tentativo presso il Cavaignac (che già il 13 precedente gli aveva detto seccamente che la Francia non aveva preso impegni per un intervento armato, ma solo manifestato delle intenzioni), poteva informare Torino che il presidente francese aveva "perémptoirement refusé" ancora una volta la cooperazione armata, e che a suo parere l'esercito francese non si sarebbe prestato ad aiutare il Piemonte se non come alleato equipaggiato e pagato e il cui comandante capeggiasse anche l'esercito piemontese. Il 22 settembre, fallita definitivamente la missione La Marmora, in un dispaccio importante anche per l'accenno a Luigi Napoleone "preconisé comme future président définitif de la République franoçaise" e per l'accenno alla tesi di alcuni scrittori sulla convenienza per la Francia di "délaisser l'Italie et de s'unir par contre étroitement avec l'Allemagne dans le but de tenir tête aux entreprises probables de la Russie", il B. sottolineò ancora una volta il "prometter lungo" e il "mantener corto" che caratterizzavano il Cavaignac.
Il 3 ott. 1848 il B. era contemporaneamente revocato dal servizio e insignito della dignità di cavaliere dell'Ordine supremo della SS. Annunziata. Comunicata ufficialmente al Cavaignac, il 23 Ottobre, la fine della sua missione, il B. rimase a Parigi, dove viveva "amatissima e sommamente infelice" la figlia Maria duchessa di Galliera, che l'anno prima aveva perso il figlio Andrea avuto dal marchese Raffaele De Ferrari, sposato nel 1828.
Si trattò anche questa volta di una rimozione d'imperio. In una lettera dell'8 ott. il B. lamentò che il re, in una lettera destinata al Cavaignac, motivava il richiamo con il desiderio ch'egli avrebbe "témoigné plusieurs fois "di rientrare in patria, mentre al contrario dopo l'octroi delle istituzioni rappresentative, volendo continuare a svolgere le funzioni diplomatiche affidategli, egli aveva rifiutato la dignità di vice presidente del Senato e si era visto rioffrire dal marchese Ricci il titolo e non la realtà di quella carica insieme al riconoscimento del "supremo bisogno" che le trattative con Parigi fossero condotte da persona come lui "versatissima". In una seconda lettera del 20 ottobre formulò esplicitamente il sospetto che il suo richiamo, causa per lui di "grande peine", soprattutto perché aveva ricevuto la nomina ad ambasciatore straordinario appena il 14 agosto precedente, fosse da collegare con accuse di negligenza o di altre mancanze mossegli da qualche ministro.
A Parigi il B. usò, o a Torino parve usare, della libertà di privato cittadino in modo poco confacente al suo rango, se nel gennaio 1849, accusato d'intrattenere rapporti con gli inviati austriaci e soprattutto con il conte Apponyi, e di andar sparlando della causa italiana e del governo piemontese, gli fu intimato (lett. del Gioberti, presidente del Consiglio, del 14 gennaio) di recarsi a Torino a dar conto di quelle e di altre accuse, pena la sospensione della pensione di "retraite" di 10.500 franchi.
Il B. insorse, però, con ferma decisione. Non solo rintuzzò le due accuse (v. la lunghissima lettera al Gioberti del 5 febbr. 1849) attribuendole a un "intrigo quanto basso altrettanto insensato", ma rinfacciò all'abate, che il 30 dicembre di quell'anno lo aveva invitato a Torino ventilando l'intenzione sovrana di conferirgli un "incarico di grandissima importanza", di essersi fatto "stromento d'inganno" e di sfogo all'invidia, nonché di essersi dimostrato - nel ritenerlo sensibile alla minaccia di sospensione della pensione - "non meno inesattamente informato sul suo carattere, che sulle sue azioni". Giunse perfino a proporgli i termini di un "moderatissimo" (v. lett. di accompagnamento della lett. del 5 febbraio) temperamento del "diverbio", mediante il ritiro reciproco di alcune lettere e, da parte del Gioberti, la dichiarazione di soddisfazione per le spiegazioni fornite e l'espressione di rincrescimento per il dispiacere recato con il domandar conto di mancanze non commesse.
Le nuove circostanze politiche portarono il B., verso la fine dell'anno, caratterizzato a partire dall'agosto dal trionfo della reazione nell'Europa continentale, alla sua ultima esperienza diplomatica con la nomina (6 ott. 1849) a rappresentante a Vienna di uno Stato uscito prostrato dalla rotta di Novara, animato però dalla ferma volontà non solo di mantenere e consolidare il regime costituzionale, ma anche di preservarsi dal regime repubblicano e dai pericoli della rivoluzione (v. dispaccio dell'Azeglio al B., 29 nov. 1849), nonché di riaffermare l'autorità dello Stato verso la Chiesa e l'uguaglianza di tutti i cittadini, riducendo i privilegi del clero. Su questo terreno però il "cattolicissimo" B. non poteva seguire il governo. Dopo aver mandato a Torino le sue proteste, quando le leggi Siccardi furono approvate, per non porsi in contraddizione con la sua coscienza si dimise dalla carica (15 apr. 1850), abbandonando definitivamente la diplomazia e ritornando ancora una volta a Parigi dove, secondo una nota del diario della Collegno del luglio 1852, sarebbe stato polo di attrazione dei Piemontesi nella capitale francese e dove, assieme a quella che l'Omodeo chiamò "la conventicola savoiardo-piemontese-ligure" insediata nel noble faubourg di Saint-Germain, avrebbe agito contro la rappresentanza ufficiale sarda.
Senatore tra i primi nominati da Carlo Alberto dopo lo Statuto, il B. prestò giuramento solo nel 1855 per poter contrastare, assieme al battagliero schieramento dei cattolici conservatori (Castagneto, La Tour, mons. Calabiana, Giacinto di Collegno, ecc.), la politica estera ed ecclesiastica del conte di Cavour che, come ministro delle Finanze, aveva appoggiato un progetto di legge per una imposta sulle pensioni godute all'estero, nel quale - benché il ministro lo negasse - il Collegno aveva visto il proposito di colpire il Brignole-Sale.
Il B. denunciò in uno scritto le trattative per l'alleanza di Crimea, "come rivolta a ottener con la guerra la revoca dei sequestri lombardi, aizzando il particolarismo piemontese", e deplorò in un altro che il trattato recasse la firma del Cavour, alleggerendo così a un tempo "la responsabilità del ministero sul punto dolente delle richieste non soddisfatte" e "mostrando che neanche i reazionari avrebbero risparmiato la guerra" (Omodeo). Il 25 apr. 1855 il B. attaccò in Senato il progetto di legge Rattazzi, "ostile alla Chiesa, contrario alla giustizia, funesto alla Società", sviluppando un'argomentazione che per non essere del tutto esclusiva non cessava di essere alquanto singolare. Ricordando la condanna papale nel concistoro del 22gennaio, asserì che "questa sola pontificia sentenza basterebbe..., secondo l'intimo suo convincimento, a stroncare ogni discussione", essendo inconcepibile "voler sostituire il proprio giudizio a quello del supremo pastore". Il 27 giugno 1857prese posizione contro il progetto di legge per il trasferimento della marina militare sarda nelle acque del golfo di La Spezia; il 27 febbr. 1859prese la parola per dichiarare la sua opposizione al prestito di cinquanta milioni proposto in vista della guerra contro l'Austria. Combatté anche, il 26maggio 1860, in un discorso al Senato, il trattato per la cessione di Nizza e Savoia alla Francia con considerazioni che dichiarò non "ispirate né da uno spirito di acrimonia, né da un sentimento di animosità personale contro chicchessia", ma suggerite dal "vivo attaccamento" alla "comune patria". Il 16ottobre pronunciò un discorso contro le annessioni rivoluzionarie (eccetto quella della Lombardia, avvenuta per "volontaria cessione del precedente legittimo sovrano": v. Discorsi senatorii, Genova 1864).
Ormai le vicende, che si erano venute svolgendo secondo il paventato disegno adombrato nella sua antica nota dell'11 ott. 1814, dimostravano il fallimento di tutte le sue battaglie parlamentari. Perciò il 21 marzo 1861, divenuto il Senato subalpino Senato del Regno d'Italia proprio in conseguenza di quelle "annessioni territoriali alla monarchia sarda incompatibili con le religiose e politiche mie convinzioni", come scriveva nella lettera di dimissioni, il B. sentì l'obbligo "penoso" di abbandonare quel "rispettabilissimo consesso". L'anno prima aveva sintetizzato il suo pensiero, e la principale preoccupazione che animava la sua opposizione, nel fortunato opuscolo, apparso in francese (edizione genovese e altra parigina) e in varie traduzioni italiane, Considérations sur la question romaine. Confutando le "obiezioni antiche e recenti" mosse al potere temporale dei papi, ricordava tra l'altro che accettare il fatto compiuto nei territori pontifici equivaleva ad erigere in legge la ribellione e accettare una teoria la cui validità non poteva restare ivi circoscritta.
Ritiratosi a Genova, dove nel 1855, insieme alla consorte, aveva fondato sulla collina di Fassolo il Collegio internazionale per le missioni estere e dove, nel suo celebre Palazzo Rosso, possedeva una eccezionale biblioteca (descritta dal Valle), aperta munificamente agli studiosi, vi spirò nella notte del 13 ott. 1863.
Fonti e Bibl.: Dell'archivio di famiglia, prima conservato a Genova nel Palazzo Rosso, dove era "rimasto sempre chiuso e impenetrabile" - v. G. Morgavi, Rievocazioni genovesi Genova 1961, p. 29 -, e poi trasportato in Francia con la maggior parte della biblioteca per la francesizzazione di una delle eredi, s'ignora la destinazione precisa. Parigi, Archives Nationales de France, AFIV 265, pl. 1845, 385, pl. 2830, 565, pl. 4442, 566, pl. 4453, 571, pl. 4496, 586, pl. 4624, 625, pl. 4952, 639, pl. 5072, 676, pl. 5404, 656, pl. 5225, 686, pl. 5495, 742, pl. 5966, 773, pl. 6204 (tutti i documenti di questa serie AFIV sono decreti), CC 252, f. 74; Flb I 15645 e II Montenotte 2; Fld II B 19; F7 8525, d. 7128 P 2; BB30 984; AA 41, p. 1308. Lettere del B. sono disseminate nei seguenti fondi d'archivi privati: 42 AP e 42 AP 193, 138 AP e 138 AP 217, dr. 2, 223 AP 18 dr. 1. Parigi, Arch. du Ministère des Affaires Etrangères, Sardaigne,Corresp. polit., voll. 307-322 (1836-1848) e fasc. "Brignole-Sale, série Protocole"; Arch. di Stato di Savona, carte relative alla prefettura del B. a Montenotte; Arch. di Stato di Genova, Fondo relativo al Governo provvisorio ligure (missione del B. al Congresso di Vienna); Ibid., Fondo Manoscritti, n. 208 (docum. e lettere riguardanti il B.); Arch. di Stato di Torino, Sezione I, Lettere Ministri in generale,Personale diplom. e consolare (1814-1859);Ibid., Ministri Esteri,Giuramenti, vol. 1, c. 29; Istruzioni agli Agenti del Re all'estero, mazzi 1, 2 e 3; Registri Lettere Segret. Esteri - Corrisp. confidenziale (anni corrispondenti alle varie missioni del B.); Lettere ministri Toscana, mazzi 3-6; Lettere ministri Spagna, mazzi 101-103; Lettere ministri Porta Ottomana, mazzo 1 bis (fasc. ott. 1822) e mazzo 2 bis (fasc. giugno 1825); Missioni straordinarie varie 1814-1850, cart. 2 (missione a Pietroburgo 1826) e cart. 3 (missione a Londra 1838); Lettere ministri Francia, mazzi 261-277; Archivio Alfieri, mazzo 40/16 (lettere del B. 1517-1842); Carte polit. diverse a. 1848, mazzo 23, n. 123 (Perrone al B., Torino 23 ag. 1848); Ibid., ma Sezioni Riunite,Patenti Controllo Finanze, sec. XIX, nn. 1 f. 121, 8 f. 26, 23 f. 121, 35 f. 233, 61 f. 254, 62 f. 178, 63 f. 28, 125 f. 179; Torino, Museo naz. d. Risorgimento ital., Archivio Giulio 44/136 e Archivio Dabormida 97/16 (regesti dispacci B. agosto 1848); Roma, Ministero Affari Esteri, Archivio Storico,Le scritture della Segreteria di Stato degli Affari Esteri del Regno di Sardegna: Documenti vari (1815-1861), busta 2, fasc. 2 (elenco dispacci), Personale, busta 3 (fasc. Brignole: corrispondenza varia 1835-1849), Divisione Legazioni e divisione consolare, busta 1; Legazione sarda a Madrid, buste 1, 3, 4 e 6; Legazione sarda in Londra, cart. LVII (tre lettere del B. al conte di Pollone); Legazione sarda a Parigi, buste 5-15; Legazione sarda in Vienna, cart. LXXIV (1849) e LXXV (1850).
L. C. Farini, Storia d'Italia dall'anno 1814 ai nostri giorni, Torino 1859, II, pp. 31-32, 61, 138; F. Sclopis, La dominazione francese in Italia, Parigi 1861, p. 41; A. Charvaz, Eloge funèbre de s. e. le marquis A. B.-S. prononcé par l'archevêque de Gênes..., Gênes 1863; A. Cochin, necrol., in Le Correspondant, 3 (1863), pp. 665 ss.; L. Grassi, Cenni sulla vita del marchese A. B.-S., in La Liguria, 17 ott. 1863; C. de Montaigu, Notice biogr., in Investigateur, t. III, 4 s., 30e année (1863), p. 353 (su questo periodico, organo dell'Institut Historique de France, poi Société des Etudes historiques, del quale il B. fu presidente onorano, venne pubblicato nel 1856 un rapporto del B. sul Percément de l'sthme de Suez); P. Salvago, necrol., in Annali catt., Genova, 15 nov. 1863; M. Spinola, La restaur. della Repubblica ligure nel 1814, Genova 1863, pp. 154, 174-177, 196, e documenti ripr. alle pp. 282-286, 292 ss.; N. Bianchi, Storia docum. della diplom. europea in Italia, Torino 1865-1872, I, pp. 70-74, 89-103, 216-220, 357-366, 382; IV, pp. 99-102, 135, 143-146, 159-162, 170-172, 178-180, 190-192; V, pp. 95, 117-118, 122, 171-173, 223-224n, 276-278, 282, 289-296, 304-310, 314, 322, 327-328, 341-345, 348-349, 498-503; VI, pp. 120, 314-315, 338-341, 347-348; G. Margotti, Della vita del marchese B-S., Torino 1869 (incompiuta); A. Manno, Informazioni sul Ventuno in Piemonte, Firenze 1879, pp. 14-18, 37; C. Rossi, De vita publica et privata et de scriptis Antonii Brignolis Salis Iulii F. marchionis Commentarius, in Scripta certaminis litterarii genuensis pro triennio MDCCCLXXVIII ad MDCCCLXXX, Genuae 1881, pp. 9-56 (in questa opera, alle pp. 57-99, è riprodotto anche lo scritto di A. Sommariva De vita A. Brignolis-Salis Iulii F. Marchionis Groppoliani patricii gen.);A. Brignole Sale, Lettere al bar. G. Manno da Parigi, 20 ott. 1855, in Giorn. ligustico, IX (1882), pp. 470-473; A. Neri, Lettere di A. B. S. e di G. C. Gandolfi ad A. Mazzarosa,ibid., XVI(1889), pp. 429-455; C. Cagnacci, G. Mazzini e i fratelliRuffini, Porto Maurizio 1893, p. 338 (vi è riprodotta la lettera di Giovanni Ruffini al fratello Agostino da Parigi, 14 maggio 1848, contenente i seguenti significativi passi: "Trovai all'Imbasciata un forte puzzo del buon tempo antico", "Quando notai al March. Brignole ch'io ero Deputato, fu esattamente come se gli avessi detto ch'io era un ciabattino"); G. Faldella, I fratelli Ruffini, Torino 1900, pp. 794-798; L. G. Pélissier, Le portefeuille de la comtesse d'Albany, Paris 1902, pp. 422, 444, 472, 499; M. Degli Alberti, La polit. estera del Piemonte sotto Carlo Alberto, Torino 1913-1919, ad Indicem;L. Valle, Catal. delle Pubblic. relative al Risorg. ital. possedute dalla Bibl. munic. Brignole-Sale De Ferrari di Genova, Pontremoli 1925 (p. 3 bibl. sul B., pp. 16-17 scritti del B.); M. Provana di Collegno, Diario politico, Milano 1926, ad Indicem;D. Clerico, Ilmarchese A. B. S. Profilo storico, Torino 1928; P. Lemmi, Storia polit. d'Italia. L'età napoleonica, Milano 1938, p. 579; S. Cilibrizzi, Storia parlam. polit. e diplom. d'Italia, I, Roma 1925, ad Indicem;C. Benso di Cavour, Discorsi parlam., a cura di A. Omodeo IX (1853-1854), Firenze 1941, ad Indicem;C. Spellanzon, Discussioni gelosie contrasti in Piemonte subito dopo l'armistizio Salasco, Torino 1949, pp. 8-10; P. Guichonnet, L'affaire des "Voraces" en avril 1848, Torino 1949, pp. 16-18, 31; E. Piscitelli, La legaz. sarda in Vienna, Roma 1950, ad Indicem;A. Tamborra, Cavour e i Balcani, Torino 1958, p. 87; B. Montale, A. B. s., in Genova, XLIII (1963), pp. 33-37; F. Boyer, Les Premiers contacts entre Lamartine et B. S. ambassadeur de Sardaigne à Paris, in Revue d'histoire diplom., LXXIX (1965), pp. 22-35; Storia del Parlamento italiano, diretta da N. Rodolico, III, Palermo 1965, e IV, a cura di G. Sardo, ibid. 1966, ad Indices.
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BRIGNOLE SALE, Antonio
Dizionario Biografico degli Italiani
di G. Locorotondo
BRIGNOLE SALE, Antonio. - Nato a Genova il 22 maggio 1786 da Giulio e dalla senese Anna Pieri, nel 1798 fu mandato a proseguire gli studi nel collegio Tolomei di Siena, insieme al primogenito Rodolfa, poi entrato nel sacerdozio, da cui gli sarà trasmesso il titolo marchionale di Groppoli. Li il B. acquistò padronanza della lingua italiana, mostrando attitudine per la letteratura e coltivando l'arte della declamazione (della quale avrebbe dato numerosi saggi recitando tragedie affieriane nel teatrino domestico della sua villa di Voltri), si formò una solida cultura e completò gli studi di diritto.
Con decreto del Senato di Genova del 25 maggio 1805 il B. fu nominato membro aggiunto della deputazione di 10 senatori (costituita il 10 aprile, unitamente alla deputazione di 10 dame, tra le quali sua madre; v. Annali della Repubblica ligure, IV, pp. 150-151), che aveva l'incarico di chiedere a Napoleone, a Milano per l'incoronazione a re d'Italia, la riunione della Liguria all'Impezo francese.
La missione è stata da non pochi s torici giudicata un gesto tralignante dalla tradizione di fiera indipendenza dell'antica Repubblica, compiuto da aristocratici degeneri abbindolati dalle arti del Saliceti e addirittura comprati dall'oro francese. In realtà, benché in quella primavera 1805 l'indipendenza genovese fosse nulla più che un ricordo, l'argomentazione di qualche biografo del B. (Napoleone, restaurando con il concordato del 1901 la pace religiosa compromessa dalla politica del Direttorio.1 si sarebbe accattivato simpatie facendo bene sperare per gli interessi dei cattolici liguri) tradisce lo sforzo di accreditare una giustificazione di tipo, per così dire, selettivo a favore dei cattolicissimi Brignole madre e figlio.
In quello stesso anno il B. iniziò, in compagnia di due giovani amici, un lungo viaggio d'istruzione attraverso la Francia, la Danimarca, la Prussia e altri paesi dell'Europa settentrionale, scrivendo un diario (esaminato da D. Clerico) che può interessare anche per la conoscenza di quei paesi negli anni dei trionfi napoleonici. Fu condotto poi a Parigi dalla madre che, dopo la morte a Firenze del marito per tifo nel 1802, curava energicamente l'educazione e gli interessi dei figli, e che nella capitale francese entrò presto in relazione con personalità del mondo politico, divenendo addirittura dama d'onore dell'imperatrice Maria Luisa. Il 12 ag. 1807, a ventun anni, il B. fu nominato uditore del Consiglio di Stato. Distintosi per capacità e assiduità (una sua relazione sulla fondazione del regno d'Olanda meritò gli elogi dello stesso Napoleone), il 7 giugno 1809 fu nominato segretario generale del Consiglio straordinario per la liquidazione del debito pubblico della Toscana, e partì così per l'Italia per assumere il nuovo mcanco, subentrando al marchese Cesare Balbo. Il B., che il 26 apr. 1808 aveva sposato la marchesa Artemisia Negrone destinata a brillare per le sue molte doti a fianco del marito, rimase a Firenze due anni, assolvendo (doveva conciliare i voleri dell'imperatore con gli interessi della Toscana) il delicato compito di riportare il debito pubblico di quella regione al Monte Napoleone, creato dal Bonaparte con lo scopo - peraltro non conseguito - di risanare le finanze.
Nell'aprile 1811, chiusi i lavori, il B. ritornò a Parigi. Qui il 5 luglio ebbe la carica di maître des requêtes al Consiglio di Stato, e fu destinato alla sezione dell'Interno; fu quindi, a più riprese, membro della Commissione del contenzioso e delle petizioni. Il 30 ag. 1811 gli fu conferito il titolo di conte dell'Impero con maggiorasco. Il 7 marzo 1812 fu nominato commendatore dell'ordine imperiale della Réunion. Il 24 dic. 1812 la solerte marchesa madre sollecitò per lui la prefettura di Montenotte, cioè di uno dei tre dipartimenti in cui era stata divisa la Liguria dopo l'incorporazione nell'Impero, e nella cui capitale Savona era stato prigioniero Pio VII. La nomina venne, il 12 marzo 1813, quando la carica era stata lasciata vacante dal conte di Chabrol, spietato strumento della politica napoleonica nei confronti del pontefice. Il B., che un rapporto della commissione imperiale della polizia di Genova aveva indicato, insieme con il fratello, fra le persone che inviavano soccorsi a Pio VII prima del suo trasferimento a Fontainebleau, alla fine del gennaio 1814 accolse alla testa della cittadinanza in festa il pontefice che ritornava a Savona e gli riservò cure così premurose da essere chiamato dal papa "il mio buon carceriere". Il 17 marzo 1814 il B. ebbe la gioia di comunicargli la decisione di Napoleone di restituire a libertà il capo della Chiesa cattolica.
Il B. resse la prefettura di Montenotte per quattordici mesi, dimostrando notevoli capacità politiche e amministrative. Le relazioni che inviava mensilmente al governo centrale erano redatte con tale cura e tale acume che non poche di esse recano in margine postille ministeriali di vivo apprezzamento e di grande soddisfazione. In una relazione redatta dopo la battaglia di Lipsia riferiva sulle mene segrete tramate nel suo dipartimento dagli emissari che Murat, stretti segreti accordi con l'Austria, stava disseminando per tutta la penisola con l'intento non solo di conservare il suo regno, ma di estenderlo a tutta l'Italia. In una altra relazione, del 6 luglio 1813, nel riferire i buoni risultati della leva diretta ad ingaggiare in un corpo di guardia d'onore i rampolli delle famiglie benestanti, capaci di mantenersi a proprie spese, e nel sottolinearne l'effetto positivo di sottrarre all'ozio la gioventù votandola al servizio della patria, non mancava altresì di far notare il vivo desiderio di pace dell'intera popolazione. In un dispaccio del 10 agosto informava il governo centrale della comparsa nelle acque di Savona di navi nemiche minaccianti lo sbarco e attribuiva la manovra al Murat. In dispacci del 1º settembre, 10 ottobre e 12 novembre insisteva sulla stanchezza prodotta dalla guerra nella popolazione, annunciava l'invasione austriaca dell'Illiria, rendeva noti i proclami del Murat invitanti la Liguria a unirsi alle altre parti d'Italia contro la Francia.
Quando il 29 apr. 1814 gli Anglo-siciliani di Bentinck invasero la Liguria, restaurando la Repubblica del 1797, il B. aprì le porte di Savona solo quando ebbe notizia dell'abdicazione di Fontainebleau gesto apprezzato dagli stessi alleati che lo invitarono a restare al suo posto. Il B. rifiutò e, dopo essersi recato a Torino per consegnare i documenti della sua gestione al principe Borghese, si ritirò a Genova da dove spedì a Parigi (2 maggio 1814) l'ultimo dispaccio informativo sul corso degli avvenimenti.
A Parigi i plenipotenziari delle potenze vincitrici avevano siglato un articolo segreto (art. 20 del trattato) che prevedeva "un accroissement de territoire" a favore del re di Sardegna a spese dell'"Etat de Gênes", mentre "le port de cette ville résterait libre". Sperando nella possibilità di abrogazione di un articolo "segreto", e abbandonandosi ad una interpretazione estensiva delle intenzioni alleate sulla "libertà" prevista per il porto genovese, il governo ligure stabilì di inviare a questo scopo un suo rappresentante al Congresso di Vienna. Cadute le candidature D. Grillo-Cattaneo e S. Rivarola, fu scelto il B. che a Vienna poteva fare assegnamento sull'influenza del cognato duca di Dalberg, uno dei rappresentanti della Francia, e sulle relazioni della madre, che accompagnava nella capitale austriaca l'ex imperatrice Maria Luisa e che godeva della stima del Metternich.
Con il segretario Giorgio Gallesio di Finale (il cui Saggio storico, redatto dopo l'adesione alla monarchia sarda, costituisce assieme al resoconto Quelques erreurs réfutées ou Exposé de la conduite du marquis A. Brignole, scritto dal B. nel 1816, una delle fonti principali sulle vicende viennesi della delegazione ligure), il B. giunse a Vienna il 2 sett. 1814, quando i ministri plenipotenziari erano ancora impegnati in conferenze preparatorie ai Bagni di Baden.
Il B. manovrò subito per ottenere udienze da parte dei personaggi più influenti, sottoponendo diverse soluzioni alternative. Ma il Metternich e il Castlereagh poterono assicurarlo soltanto del loro appoggio per far accordare alla città di Genova privilegi adeguati; Francesco I dichiarò di non essere interessato alla creazione di un principato ligure sotto un arciduca austriaco; l'imperatore Alessandro e il re Federico Guglielmo III, privi di mire in Italia, gli rifiutarono udienza. Solo lo spagnolo Gomez Labrador, impegnato ad ottenere la Toscana per la regina d'Etruria, ritenendo la Liguria una eventuale adeguata alternativa s'impegnò a sostenere la trasformazione della Repubblica ligure in principato. Tuttavia, benché non richiesta ufficialmente, la combinazione diplomatica fu respinta dal Comitato delle otto potenze. Al Comitato il B. inviò l'11 ottobre la famosa memoria pubblicata da N. Bianchi (I, pp. 357-366) sotto il titolo di Note présentée par le marquis Brignole-Sale,plénipotentiaire de l'Etat de Gênes aux Ministres des Puissances Alliées accréditées au' Congrès de Vienne, rimasta nobile documento del buon diritto di Genova all'indipendenza, nonché testimonianza della chiaroveggenza politica del Brignole. Vi sosteneva che la Repubblica ligure non aveva perso la sua indipendenza legale né in conseguenza dell'occupazione (che "ne peut pas opérer une transmission de droits") né in conseguenza dell'unione alla Francia (sanzionata da un governo che non aveva alcun diritto di stipularla). Inoltre l'ingrandimento del Regno di Sardegna con il territorio della Repubblica, allo scopo di creare ai confini sud-orientali della Francia uno stato sufficientemente potente per contrastarne eventuali mire espansionistiche, non garantiva né l'isolamento della Francia né il mantenimento della pace generale in Europa. Con sorprendente lungimiranza, il B. tracciava le direttrici fondamentali di sviluppo sia della politica "nazionale" del regno subalpino, sia della politica "italiana" dello Stato francese, in opposizione al quale si voleva decretare il potenziamento del primo. "Situé au pied des Alpes, en contact avec les pays les plus fertiles de l'Italie, et qui ne forment, pour ainsi dire, qu'une continuation du Piémont", potrà questo "se défendre de l'idée et de l'esprit de s'agrandir, de se rendre indépendant, de recomposer enfin ce Royaume dont il est le noyau, et dont la réunion, indiquée par la nature, forme dejà le projet d'un partì nombreux, qui regarde dès ce moment la Maison de Savoie comme son appui et son espoir?". Per "s'emparer de l'Italie", scriveva il B., il Piemonte profitterà delle "querelles des autres Puissances" e mercanteggerà la sua alleanza. "La France convaincue de l'impossibilité et de l'inutilité de s'emparer elle même de cette belle Péninsule, doit craindre qu'elle ne tombe toute entière dans les mains de l'Autriche, et doit seconder les projets du Roi de Sardaigne". Poiché da questo sviluppo degli eventi non poteva non derivare - secondo il B. - "le bouleversement de l'Europe", era evidente "le manque de but, que l'on se serait proposé en stipulant l'agrandissement du Piémont".
Le argomentazioni del B. impressionarono il Metternich, preoccupato anche dell'attività di gruppi rivoluzionari genovesi e delle voci secondo cui il governo ligure si disponeva a fare sacrifici pecuniari per comprarsi partigiani della propria indipendenza. La conseguenza fu però la convocazione per il 13 novembre del Comitato delle otto potenze per deliberare urgentemente l'unione di Genova al Piemonte. Al B. non rimase che protestare.
Pur persa ogni qualifica diplomatica il B. presentò allora ai plenipotenziari del Congresso un progetto di costituzione, trovato "bellissimo" da G. Serra. capo del governo genovese, ma assolutamente inaccettabile dal marchese di San Marzano, che vi ravvisò giustamente l'espressione non dei voti della maggioranza della popolazione ligure ma degli interessi dell'antica nobiltà, e una grave limitazione dei poteri del re e degli stessi vantaggi derivanti dall'aggregazione del territorio e della popolazione liguri. Ugualmente respinta fu la proposta del B. di promulgare una costituzione comune a tutte le province del regno sardo, "simile a quella promulgata da Luigi XVIII in Francia" e che si diceva fosse vista con favore perfino dal San Marzano. Furono invece approvate dal Comitato degli otto i 18 articoli nei quali una apposita Commissione di tre membri aveva fissato le condizioni e i privilegi da accordarsi ai Genovesi. Questi articoli, benché il governo provvisorio genovese per mezzo del proprio rappresentante a Vienna li dichiarasse nulli, facendo pervenire ai ministri plenipotenziari una ulteriore protesta, furono invece considerati accettabili dal B. che, secondo il Saggiostorico del Gallesio, li avrebbe ritenuti male minore per i Genovesi rispetto all'esser dati senza condizioni in balia del governo sardo e, secondo il rapporto della Commissione dei tre, li avrebbe trovati rispondenti "aux voeux de ses concitoyens".
Divenuto ormai suddito sardo, il B. fu invitato reiteratamente da Vittorio Emanuele I a ricoprire una carica pubblica. Riconoscendo infatti il talento del giovane patrizio, il re aveva manifestato sin dall'ottobre 1814 al San Marzano (nel quadro di una manovra tendente ad accattivarsi il B.) rintenzione di accordargli "d'abord une place diplomatique de second ordre, et, s'il le fallait, même de premier". Il 20 dic. 1815 il B. veniva nominato ministro plenipotenziario presso la Corte di Toscana, con l'incarico (v. Istruzioni del re del 28 genn. 1816) di "adoprarsi per una alleanza tra Toscana e Sardegna", prospettandone "con accortezza" l'utilità al granduca che, pur appartenendo alla famiglia imperiale austriaca, era e si sarebbe mostrato (v. i dispacci del B. da Firenze del 17 apr. 1817, e del 18 dic. 1818) non alieno dall'affrancarsi seppure con prudenza dalla tutela di Vienna. Il negozio più importante trattato dal B. durante i suoi due anni di permanenza in Toscana (fino al 27 dic. 1818) fu il matrimonio tra Carlo Alberto e Maria Teresa, secondogenita del granduca di Toscana; il patto nuziale fu stipulato more principum con solenne trattato diplomatico firmato a Firenze dal B., in rappresentanza del re di Sardegna, il 29 sett. 1817.
Il 15 maggio 1819 il B. fu destinato ministro a Madrid. Si trattò in certo senso di una promozione (occorreva per intanto rintuzzare la pretesa del "ministro di Madrid" che la Sardegna, "mancando la linea maschile della famiglia regnante", dovesse tornare alla Spagna) ma i coniugi B. avvertirono una sfavorevole impressione nel paragone tra la vecchia e la nuova sede, particolarmente aborrita dalla marchesa Artemisia che si lasciò andare a comporre epigrammi sopra persone e cose, e quindi stentò a trovare nella società spagnola l'accoglienza merietata (v. lettere del conte L. Brunetti alla contessa d'Albany). Tra i dispacci inviati a Torino dal B. si ricorda quello del luglio 1820, nel quale presentava la "disposizione" che avrebbe manifestato Bolivar a desistere dall'intrapresa rivolta e a riunirsi alla madre patria come "il più bel frutto che a beneficio della Spagna e dell'umanità prodotto avesse il sistema Costituzionale".
Quando il 13 marzo 1821, dopo l'abdicazione di Vittorio Emanuele I, venne proclamata in Piemonte la costituzione, se il B. non elevò un inno di giubilo, non manifestò neppure contrarietà (del resto poco più di sei anni prima, a Vienna, aveva invocata una costituzione per Genova, e poi per tutti gli Stati sardi, Genova compresa), e comunque rimase presso la corte spagnola e rappresentare il governo dei rivoluzionari, tra i quali si distingueva l'amico Giacinto di Collegno. Non stupisce pertanto se, ripristinato da Carlo Felice l'antico ordine, il 30 apr. 1821 un dispaccio da Modena lo avvertiva che "le circostanze personali di V. E. non meno che quelle del R.o Servizio non consentono più oltre il di lei soggiorno in una residenza da lei sì degnamente occupata". Si trattava di una vera e propria rimozione. Il B. lasciò Madrid il 16 giugno 1821, trasferendosi a Parigi da privato cittadino.
Di qui l'anno seguente (lett. 18 ott. 1822 al ministro degli Esteri conte Della Torre) rifiutava una missione a Costantinopoli (con lo scopo di condurre a termine le trattative avviate dal barone di St. Laurent per la "stipulazione di un trattato di commercio che assicurasse alla R. Bandiera il libero accesso del Mar Nero e rendesse più facile il traffico pei commercianti Sardi negli scali di Levante e in Egitto"), adducendo ragioni "domestiche", ma probabilmente anche per scarso interesse (tuttavia nel gennaio 1825 inviò al ministro un resoconto sulle ricerche fatte a Genova sugli antichi rapporti della Repubblica genovese con la Turchia) e per timore del colera che infieriva in quelle contrade. Tornato in patria, fu dal 1825 al 1831 sindaco di Genova.
Essendo tuttora in corso di ordinamento la sezione ottocentesca dell'Archivio storico di quel Comune, non è stato possibile approfondire l'azione svolta dal B. come prImo cittadino. Si sa tuttavia che, dotò la città di molti edifici e istituti pubblici e che, rimasto devoto alla città natale, riservò ad essa le principali manifestazioni della sua filantropia e del suo mecenatismo (si attribuisce alla sua generosità l'ospizio per gli alienati e il bel Teatro intitolato a Carlo Felice). Scoppiato poi, mentre ricopriva anche la carica di presidente degli ospedali di Genova, il colera che menò strage tra la popolazione, diede prove di coraggio e di abnegazione a favore degli sfortunati concittadini.
Intanto nel giugno 1826 il B. aveva accettato di rappresentare, in qualità di ambasciatore straordinario, il re di Sardegna alla cerimonia solenne dell'incoronazione dello zar Nicola I. Benché la missione (il B. vi dispiegò una magnificenza non inferiore a quella dei rappresentanti delle più grandi potenze) non avesse "d'autre but ostensible", tuttavia il re gli aveva fatto comunicare "les dépêches et les rapports qui concement les affaires d'Orient et l'Etat interieur de la Russie", e probabilmente in vista di un approfondimento in questa direzione essa si protrasse fino all'ottobre 1826. Rientrato già decorato delle grandi insegne dell'Ordine reale dell'Aquila Bianca di Polonia, il B. ebbe anche la Gran croce mauriziana unitamente al titolo d'eccellenza (la Gran croce dei Ss. Maurizio e Lazzaro gli era stata conferita al ritorno da Madrid, mentre il 21 apr. 1824 era stato creato gentiluomo di camera del re). Il 15 sett. 1831 fu nominato consigliere di Stato straordinario annuale per la divisione di Genova, e il 4 ott. 1831 ebbe la nomina a ministro di Stato.
Il fatto più importante di questo periodo della sua vita fu però la nota indirizzata a Carlo Alberto nel 1833, dopo la spietata repressione dei moti di quell'anno, e la pubblicazione dell'opuscolo scritto da F. Dal Pozzo, Della felicità che gli italiani possono e debbono dal governo austriaco procacciarsi.
La nota, intitolata Pensées et voeux politiques (V. Manno, pp. 14-18), dimostrava acume e coraggio politico e rimane - la richiesta di costituzione del '14 essendo troppo manifestamente ispirata a interessi municipalistici - l'unico autentico documento della cosiddetta "fase liberale" del patrizio ligure. Definito "infame brochure" il libretto del Dal Pozzo. "peutêtre même provoquée sous main" dal governo austriaco, ne riconosceva l'utilità nella misura in cui richiamava la necessità di operare riforme idonee a porre l'amministrazione del Piemonte, se non al di sopra, almeno sullo stesso piano di quella austriaca in Lombardia, "plus régulière que chez-nous, et sourtout beaucoup plus éclairée". Ma il soggetto più "épineux" e più "dangereux" che egli affrontava, "au risque de sa disgrâce", era la repressione dei moti. Con la punizione dei colpevoli, secondo il B., il governo sardo si era lasciato prendere nelle pieghe della "astucieuse et infernale" politica dell'Austria, la quale, nonostante "le déspotisme affreux" esercitato in Lombardia, non aveva mai fatto eseguire dal 184 le condanne a morte decretate dai suoi tribunali, mentre, ricavando immenso vantaggio dal contrasto, non solo permetteva, ma sollecitava negli altri Stati l'invio "à l'échafaud" dei "coupables politiques". Abbandonandosi quindi a una profezia, dal Faldella definita "stupenda", vedeva i "braves de toutes les autres parties de l'Italie" riunirsi intorno all'"armée courageuse et brave" del Piemonte, che, a sua volta "réunie avec une armée française", avrebbe conquistato "dans dix semaines toute l'Italie" all'insorgere della crisi destinata "inévitablement" ad aver luogo "dans peu d'années".
Il ritorno del B. alla diplomazia. avvenne soltanto dopo la nomina a ministro degli Esteri del "reazionario" Solaro Della Margherita, e dopo che verosimilmente le due relazioni fatte pervenire nel maggio 1835 al conte di San Martino avevano ridimensionato i "noiosi, disgraziati... affari di Spagna". Il 29 Maggio 1836 il B. fu destinato ambasciatore a Parigi, l'unica sede diplomatica con rango d'ambasciata dove sarebbe rimasto dodici anni ostentando magnificenza - sostenuta con propri mezzi - e conquistandovi prestigio e influenza superiori all'importanza del paese rappresentato, tanto da essere chiamato "le grand ambassadeur du petit Roi". Adatto quant'altri mai, anche per il suo immenso patrimonio, a incarichi di prestigio, nel maggio 1838 fu nominato ambasciatore straordinario a Londra per l'incoronazione della regina Vittoria, trattenendosi in Inghilterra fino all'agosto. Nel settembre 1846 fu autorizzato da Carlo Alberto ad assumere la presidenza dell'VIII Congresso degli scienziati, svoltosi a Genova: il B. tenne il discorso inaugurale (pp. 65-79 degli Atti, Genova 1847), Sottolineando l'utilità di quelle riunioni per superare le "basse rivalità locali" e riaffermando l'interdipendenza tra "incremento delle scienze" e "continuazione della pace". Assolse con successo anche molti incarichi diplomatici riservati. Entrato presto nelle grazie di Luigi Filippo (che, rimastogli amico pur dopo la caduta, esule a Londra, nel gennaio 1850 avrebbe tenuto a battesimo "per procura" un suo nipote), ne ricevette e trasmise a Torino non poche confidenze (v. per es. i dispacci del 5 luglio 1836, 7 genn. 1837, 18 marzo 1839, 31 ag. 1839, 27 apr. 1841).
Nei primi mesi del 1838 il B. trattò con Luigi Filippo e con il suo ministro degli Esteri Molé l'affare dell'ambasciatore francese a Torino marchese di Rumigny, sulla cui nomina Carlo Alberto aveva già avanzato riserve per il comportamento nella controversia tra il Regno sardo e la Svizzera al tempo del tentativo rivoluzionario dei fuorusciti nella Savoia. A seguito di un incidente di cerimoniale (la moglie dell'ambasciatore russo si era presentata a corte ornata di merletti bianchi, prerogativa della regina e delle principesse reali), avendo il Solaro diramato ai diplomatici stranieri a Torino una circolare per ricordare la costumanza, il Rumigny indirizzò, una nota insolente al ministro degli Esteri sardo che, tramite il B., chiese ed ottenne il richiamo del "poco diplomatico" diplomatico (dispacci 11 genn. e 24 marzo 1838).
Nell'ottobre 1840 il B. trattò con il Thiers il tema della neutralità piemontese in caso di guerra tra la Francia e le potenze che l'avevano esclusa da un accordo sulla questione d'Oriente, tornata d'attualità a seguito del tentativo del viceré d'Egitto di rendersi indipendente dalla Porta. Avendogli il Thiers dichiarato di considerare la neutralità piemontese di fatto utile all'Austria ( e per la verità il Solaro si era già posto dalla parte dell'Austria), ed essendo giunto a minacciare di mettere sottosopra l'Italia facendo piantare il tricolore sulle Alpi, il B. osservò che se nelle città e tra le classi medie lo spirito liberale e nazionale scaldava molti cervelli, il popolo minuto e gli abitanti delle campagne sarebbero rimasti certamente inerti di fronte a eventuali provocazioni rivoluzionarie francesi (dispaccio 24 ott. 1840).
Il 1848 fu l'anno di maggiore impegno diplomatico del Brignole-Sale. Licenziato nell'ottobre 1847 il Solaro, del quale aveva interpretato per tanti anni fedelmente la politica, e caduto nel febbraio 1848 Luigi Filippo, che ancora il 3 febbraio egli aveva ritenuto sicuro e stabile presidio contro la rivoluzione, il B. si trovò a fare da intermediario tra un governo "costituzionale", per il quale nutriva scarsa simpatia, e un governo "rivoluzionario", "dont la composition - come scriveva il 24 febbraio - ne peut: malheureusement inspirer aucune confiance aux hommes de bien". E poiché sia Torino sia Parigi non potevano ignorare i sentimenti del B., si spiega come, data anche l'eccezionalità dei tempi, le due capitali, scavalcandolo, cercarono non di rado di far conoscere i propri punti di vista per mezzo rispettivamente del marchese Alberto Ricci e dell'italianofilo Alessandro Bixio.
Non per questo tuttavia l'azione del B., che rimaneva comunque il normale canale diplomatico, nei mesi caldi del '48 fu meno importante, né meno importanti sono i numerosi dispacci da lui inviati al suo governo. Oltre quelli del 7, 9, 12 e 15 febbraio sull'atteggiamento di Luigi Filippo nei confronti del regime costituzionale promesso da Carlo Alberto, si ricordano quelli del 3, 4, 5, 11 e 17 marzo sulla fiducia del governo repubblicano che l'Austria avrebbe rispettato il diritto dei popoli a modificare le proprie istituzioni e sulla volontà della Francia di evitare, d'accordo con l'Inghilterra, la guerra tra Piemonte e Austria. Scoppiato ai primi d'aprile l'affare dei "voraces" (200 operai repubblicani appartenenti all'associazione così detta da una deformazione di horaces riuscirono a instaurare a Chambéry un effimero governo repubblicano), il B., che aveva segnalato a Torino, "sans la prendre trop au tragique", come nota il Guichonnet, la manifestazione del 19 marzo nel corso della quale 3.000 Savoiardi avevano chiesto a Lamartine l'annessione della Savoia alla Francia, compì presso il Lamartine, per incarico del governo di Torino, reiterati passi per garantire l'integrità della Savoia (v. per es. il lungo memorandum del 5 aprile). Quando il governo francese accrebbe le apprensioni del Piemonte facendo ammassare un esercito sulle Alpi, il B. (6 e 9 aprile) recò al Lamartine le proteste del suo governo. Non fidandosi però delle assicurazioni francesi, in una "reservée" al Pareto del 6 aprile (Situation de l'Italie vis à vis les grandes puissances étrangères)avvertiva che il governo francese "prend quelqu'ombrage" dai progressi dell'esercito piemontese e dal "probable accroissement prochain" della monarchia sarda e che, parlandogli il Lamartine della simpatia della Repubblica francese "envers les nations qui combattent pour leur indépendance", non aveva proferito una parola che lo autorizzasse a dedurre che ne provasse "pour notre Auguste Souverain" impegnato nella lotta di liberazione dell'Italia. Nel dispaccio del 29 aprile, parlando del tentativo di tal Bormefils di raccogliere a Parigi una legione franco-italiana destinata "à se rendre en Italie", osservava che "c'est, en général, ici une idée assez répandue que la France doit, de manière ou d'autre, aîder l'Italie", ma aggiungeva di non credere che, malgrado il linguaggio usato constantemente dal Lamartine e la formazione del corpo delle Alpi, "cette idée soit précisément celle des membres du Gouvernement provisoire". Il dispaccio riservato del 6 aprile è importante anche per altro. Il B. riferisce di un contatto tra Lamartine e Mazzini (il primo avrebbe detto che avrebbe veduto "avec assez de plaisir" la Lombardia costituita in repubblica, mentre Mazzini sarebbe stato trovato dallo statista francese "persuadé que l'Italie doit rester divisée en plusieurs Etats, et que l'unité italique serait impossible"); espone poi l'opinione "qu'il conviendrait de hâter... la manifestation d'un voeu national des diverses parties de l'Italie supérieure pour ê"tre toutes réunies sous le sceptre du Roi de Sardaigne" e la proposta di neutralizzare, se non vincere "l'esprit de localité" ("bien naturel" ed anche "louable dans les grandes villes"), stabilendo "alternativement la représentation nationale dans les villes les plus importantes".
Succeduto nel maggio al Lamartine il Bastide, la causa italiana non guadagnò un fautore. Il nuovo ministro degli Esteri, che era non solo contrario all'unità della penisola ma anche a un regno dell'Alta Italia, giunse perfino (e il B. protestò invano) a rimuovere dal suo posto negli archivi del ministero degli Esteri lo storico Mignet che aveva dichiarato pubblicamente il suo favore all'ingrandimento dei territori di casa Savoia. Ma fu dopo Custoza, e poi dopo l'armistizio Salasco, che fu messa allo scoperto la vera politica francese verso l'Italia. Benché il 28 luglio il Bastide avesse assicurato il B. che la Francia si era ormai troppo impegnata per poter rimangiare le promesse (dispaccio stessa data), quando il nuovo governo piemontese si decise a chiedere l'intervento armato francese (che il B. riteneva "una calamità") e, poi, per mezzo di Alfonso de La Marmora inviato appositamente, un valente generale francese da porre alla testa dell'esercito sardo per una eventuale ripresa della guerra, sia Bastide sia Cavaignac, presidente della Repubblica, accamparono un pretesto dietro l'altro per declinare e disattendere richieste e promesse. Il maresciallo Bugeaud, richiesto dal La Marmora, era ostile al governo; la convenzione per l'intervento (le cui condizioni erano state esposte in un dispaccio inviato per corriere al B. alle due del mattino del 4 agosto) non poteva essere stipulata dovendosi attendere l'esito della mediazione che si stava per offrire congiuntamente dalla Francia e dall'Inghilterra (dispacci del 9 e del 10 agosto). Il 31 agosto il B., a seguito di un nuovo tentativo presso il Cavaignac (che già il 13 precedente gli aveva detto seccamente che la Francia non aveva preso impegni per un intervento armato, ma solo manifestato delle intenzioni), poteva informare Torino che il presidente francese aveva "perémptoirement refusé" ancora una volta la cooperazione armata, e che a suo parere l'esercito francese non si sarebbe prestato ad aiutare il Piemonte se non come alleato equipaggiato e pagato e il cui comandante capeggiasse anche l'esercito piemontese. Il 22 settembre, fallita definitivamente la missione La Marmora, in un dispaccio importante anche per l'accenno a Luigi Napoleone "preconisé comme future président définitif de la République franoçaise" e per l'accenno alla tesi di alcuni scrittori sulla convenienza per la Francia di "délaisser l'Italie et de s'unir par contre étroitement avec l'Allemagne dans le but de tenir tête aux entreprises probables de la Russie", il B. sottolineò ancora una volta il "prometter lungo" e il "mantener corto" che caratterizzavano il Cavaignac.
Il 3 ott. 1848 il B. era contemporaneamente revocato dal servizio e insignito della dignità di cavaliere dell'Ordine supremo della SS. Annunziata. Comunicata ufficialmente al Cavaignac, il 23 Ottobre, la fine della sua missione, il B. rimase a Parigi, dove viveva "amatissima e sommamente infelice" la figlia Maria duchessa di Galliera, che l'anno prima aveva perso il figlio Andrea avuto dal marchese Raffaele De Ferrari, sposato nel 1828.
Si trattò anche questa volta di una rimozione d'imperio. In una lettera dell'8 ott. il B. lamentò che il re, in una lettera destinata al Cavaignac, motivava il richiamo con il desiderio ch'egli avrebbe "témoigné plusieurs fois "di rientrare in patria, mentre al contrario dopo l'octroi delle istituzioni rappresentative, volendo continuare a svolgere le funzioni diplomatiche affidategli, egli aveva rifiutato la dignità di vice presidente del Senato e si era visto rioffrire dal marchese Ricci il titolo e non la realtà di quella carica insieme al riconoscimento del "supremo bisogno" che le trattative con Parigi fossero condotte da persona come lui "versatissima". In una seconda lettera del 20 ottobre formulò esplicitamente il sospetto che il suo richiamo, causa per lui di "grande peine", soprattutto perché aveva ricevuto la nomina ad ambasciatore straordinario appena il 14 agosto precedente, fosse da collegare con accuse di negligenza o di altre mancanze mossegli da qualche ministro.
A Parigi il B. usò, o a Torino parve usare, della libertà di privato cittadino in modo poco confacente al suo rango, se nel gennaio 1849, accusato d'intrattenere rapporti con gli inviati austriaci e soprattutto con il conte Apponyi, e di andar sparlando della causa italiana e del governo piemontese, gli fu intimato (lett. del Gioberti, presidente del Consiglio, del 14 gennaio) di recarsi a Torino a dar conto di quelle e di altre accuse, pena la sospensione della pensione di "retraite" di 10.500 franchi.
Il B. insorse, però, con ferma decisione. Non solo rintuzzò le due accuse (v. la lunghissima lettera al Gioberti del 5 febbr. 1849) attribuendole a un "intrigo quanto basso altrettanto insensato", ma rinfacciò all'abate, che il 30 dicembre di quell'anno lo aveva invitato a Torino ventilando l'intenzione sovrana di conferirgli un "incarico di grandissima importanza", di essersi fatto "stromento d'inganno" e di sfogo all'invidia, nonché di essersi dimostrato - nel ritenerlo sensibile alla minaccia di sospensione della pensione - "non meno inesattamente informato sul suo carattere, che sulle sue azioni". Giunse perfino a proporgli i termini di un "moderatissimo" (v. lett. di accompagnamento della lett. del 5 febbraio) temperamento del "diverbio", mediante il ritiro reciproco di alcune lettere e, da parte del Gioberti, la dichiarazione di soddisfazione per le spiegazioni fornite e l'espressione di rincrescimento per il dispiacere recato con il domandar conto di mancanze non commesse.
Le nuove circostanze politiche portarono il B., verso la fine dell'anno, caratterizzato a partire dall'agosto dal trionfo della reazione nell'Europa continentale, alla sua ultima esperienza diplomatica con la nomina (6 ott. 1849) a rappresentante a Vienna di uno Stato uscito prostrato dalla rotta di Novara, animato però dalla ferma volontà non solo di mantenere e consolidare il regime costituzionale, ma anche di preservarsi dal regime repubblicano e dai pericoli della rivoluzione (v. dispaccio dell'Azeglio al B., 29 nov. 1849), nonché di riaffermare l'autorità dello Stato verso la Chiesa e l'uguaglianza di tutti i cittadini, riducendo i privilegi del clero. Su questo terreno però il "cattolicissimo" B. non poteva seguire il governo. Dopo aver mandato a Torino le sue proteste, quando le leggi Siccardi furono approvate, per non porsi in contraddizione con la sua coscienza si dimise dalla carica (15 apr. 1850), abbandonando definitivamente la diplomazia e ritornando ancora una volta a Parigi dove, secondo una nota del diario della Collegno del luglio 1852, sarebbe stato polo di attrazione dei Piemontesi nella capitale francese e dove, assieme a quella che l'Omodeo chiamò "la conventicola savoiardo-piemontese-ligure" insediata nel noble faubourg di Saint-Germain, avrebbe agito contro la rappresentanza ufficiale sarda.
Senatore tra i primi nominati da Carlo Alberto dopo lo Statuto, il B. prestò giuramento solo nel 1855 per poter contrastare, assieme al battagliero schieramento dei cattolici conservatori (Castagneto, La Tour, mons. Calabiana, Giacinto di Collegno, ecc.), la politica estera ed ecclesiastica del conte di Cavour che, come ministro delle Finanze, aveva appoggiato un progetto di legge per una imposta sulle pensioni godute all'estero, nel quale - benché il ministro lo negasse - il Collegno aveva visto il proposito di colpire il Brignole-Sale.
Il B. denunciò in uno scritto le trattative per l'alleanza di Crimea, "come rivolta a ottener con la guerra la revoca dei sequestri lombardi, aizzando il particolarismo piemontese", e deplorò in un altro che il trattato recasse la firma del Cavour, alleggerendo così a un tempo "la responsabilità del ministero sul punto dolente delle richieste non soddisfatte" e "mostrando che neanche i reazionari avrebbero risparmiato la guerra" (Omodeo). Il 25 apr. 1855 il B. attaccò in Senato il progetto di legge Rattazzi, "ostile alla Chiesa, contrario alla giustizia, funesto alla Società", sviluppando un'argomentazione che per non essere del tutto esclusiva non cessava di essere alquanto singolare. Ricordando la condanna papale nel concistoro del 22gennaio, asserì che "questa sola pontificia sentenza basterebbe..., secondo l'intimo suo convincimento, a stroncare ogni discussione", essendo inconcepibile "voler sostituire il proprio giudizio a quello del supremo pastore". Il 27 giugno 1857prese posizione contro il progetto di legge per il trasferimento della marina militare sarda nelle acque del golfo di La Spezia; il 27 febbr. 1859prese la parola per dichiarare la sua opposizione al prestito di cinquanta milioni proposto in vista della guerra contro l'Austria. Combatté anche, il 26maggio 1860, in un discorso al Senato, il trattato per la cessione di Nizza e Savoia alla Francia con considerazioni che dichiarò non "ispirate né da uno spirito di acrimonia, né da un sentimento di animosità personale contro chicchessia", ma suggerite dal "vivo attaccamento" alla "comune patria". Il 16ottobre pronunciò un discorso contro le annessioni rivoluzionarie (eccetto quella della Lombardia, avvenuta per "volontaria cessione del precedente legittimo sovrano": v. Discorsi senatorii, Genova 1864).
Ormai le vicende, che si erano venute svolgendo secondo il paventato disegno adombrato nella sua antica nota dell'11 ott. 1814, dimostravano il fallimento di tutte le sue battaglie parlamentari. Perciò il 21 marzo 1861, divenuto il Senato subalpino Senato del Regno d'Italia proprio in conseguenza di quelle "annessioni territoriali alla monarchia sarda incompatibili con le religiose e politiche mie convinzioni", come scriveva nella lettera di dimissioni, il B. sentì l'obbligo "penoso" di abbandonare quel "rispettabilissimo consesso". L'anno prima aveva sintetizzato il suo pensiero, e la principale preoccupazione che animava la sua opposizione, nel fortunato opuscolo, apparso in francese (edizione genovese e altra parigina) e in varie traduzioni italiane, Considérations sur la question romaine. Confutando le "obiezioni antiche e recenti" mosse al potere temporale dei papi, ricordava tra l'altro che accettare il fatto compiuto nei territori pontifici equivaleva ad erigere in legge la ribellione e accettare una teoria la cui validità non poteva restare ivi circoscritta.
Ritiratosi a Genova, dove nel 1855, insieme alla consorte, aveva fondato sulla collina di Fassolo il Collegio internazionale per le missioni estere e dove, nel suo celebre Palazzo Rosso, possedeva una eccezionale biblioteca (descritta dal Valle), aperta munificamente agli studiosi, vi spirò nella notte del 13 ott. 1863.
Fonti e Bibl.: Dell'archivio di famiglia, prima conservato a Genova nel Palazzo Rosso, dove era "rimasto sempre chiuso e impenetrabile" - v. G. Morgavi, Rievocazioni genovesi Genova 1961, p. 29 -, e poi trasportato in Francia con la maggior parte della biblioteca per la francesizzazione di una delle eredi, s'ignora la destinazione precisa. Parigi, Archives Nationales de France, AFIV 265, pl. 1845, 385, pl. 2830, 565, pl. 4442, 566, pl. 4453, 571, pl. 4496, 586, pl. 4624, 625, pl. 4952, 639, pl. 5072, 676, pl. 5404, 656, pl. 5225, 686, pl. 5495, 742, pl. 5966, 773, pl. 6204 (tutti i documenti di questa serie AFIV sono decreti), CC 252, f. 74; Flb I 15645 e II Montenotte 2; Fld II B 19; F7 8525, d. 7128 P 2; BB30 984; AA 41, p. 1308. Lettere del B. sono disseminate nei seguenti fondi d'archivi privati: 42 AP e 42 AP 193, 138 AP e 138 AP 217, dr. 2, 223 AP 18 dr. 1. Parigi, Arch. du Ministère des Affaires Etrangères, Sardaigne,Corresp. polit., voll. 307-322 (1836-1848) e fasc. "Brignole-Sale, série Protocole"; Arch. di Stato di Savona, carte relative alla prefettura del B. a Montenotte; Arch. di Stato di Genova, Fondo relativo al Governo provvisorio ligure (missione del B. al Congresso di Vienna); Ibid., Fondo Manoscritti, n. 208 (docum. e lettere riguardanti il B.); Arch. di Stato di Torino, Sezione I, Lettere Ministri in generale,Personale diplom. e consolare (1814-1859);Ibid., Ministri Esteri,Giuramenti, vol. 1, c. 29; Istruzioni agli Agenti del Re all'estero, mazzi 1, 2 e 3; Registri Lettere Segret. Esteri - Corrisp. confidenziale (anni corrispondenti alle varie missioni del B.); Lettere ministri Toscana, mazzi 3-6; Lettere ministri Spagna, mazzi 101-103; Lettere ministri Porta Ottomana, mazzo 1 bis (fasc. ott. 1822) e mazzo 2 bis (fasc. giugno 1825); Missioni straordinarie varie 1814-1850, cart. 2 (missione a Pietroburgo 1826) e cart. 3 (missione a Londra 1838); Lettere ministri Francia, mazzi 261-277; Archivio Alfieri, mazzo 40/16 (lettere del B. 1517-1842); Carte polit. diverse a. 1848, mazzo 23, n. 123 (Perrone al B., Torino 23 ag. 1848); Ibid., ma Sezioni Riunite,Patenti Controllo Finanze, sec. XIX, nn. 1 f. 121, 8 f. 26, 23 f. 121, 35 f. 233, 61 f. 254, 62 f. 178, 63 f. 28, 125 f. 179; Torino, Museo naz. d. Risorgimento ital., Archivio Giulio 44/136 e Archivio Dabormida 97/16 (regesti dispacci B. agosto 1848); Roma, Ministero Affari Esteri, Archivio Storico,Le scritture della Segreteria di Stato degli Affari Esteri del Regno di Sardegna: Documenti vari (1815-1861), busta 2, fasc. 2 (elenco dispacci), Personale, busta 3 (fasc. Brignole: corrispondenza varia 1835-1849), Divisione Legazioni e divisione consolare, busta 1; Legazione sarda a Madrid, buste 1, 3, 4 e 6; Legazione sarda in Londra, cart. LVII (tre lettere del B. al conte di Pollone); Legazione sarda a Parigi, buste 5-15; Legazione sarda in Vienna, cart. LXXIV (1849) e LXXV (1850).
L. C. Farini, Storia d'Italia dall'anno 1814 ai nostri giorni, Torino 1859, II, pp. 31-32, 61, 138; F. Sclopis, La dominazione francese in Italia, Parigi 1861, p. 41; A. Charvaz, Eloge funèbre de s. e. le marquis A. B.-S. prononcé par l'archevêque de Gênes..., Gênes 1863; A. Cochin, necrol., in Le Correspondant, 3 (1863), pp. 665 ss.; L. Grassi, Cenni sulla vita del marchese A. B.-S., in La Liguria, 17 ott. 1863; C. de Montaigu, Notice biogr., in Investigateur, t. III, 4 s., 30e année (1863), p. 353 (su questo periodico, organo dell'Institut Historique de France, poi Société des Etudes historiques, del quale il B. fu presidente onorano, venne pubblicato nel 1856 un rapporto del B. sul Percément de l'sthme de Suez); P. Salvago, necrol., in Annali catt., Genova, 15 nov. 1863; M. Spinola, La restaur. della Repubblica ligure nel 1814, Genova 1863, pp. 154, 174-177, 196, e documenti ripr. alle pp. 282-286, 292 ss.; N. Bianchi, Storia docum. della diplom. europea in Italia, Torino 1865-1872, I, pp. 70-74, 89-103, 216-220, 357-366, 382; IV, pp. 99-102, 135, 143-146, 159-162, 170-172, 178-180, 190-192; V, pp. 95, 117-118, 122, 171-173, 223-224n, 276-278, 282, 289-296, 304-310, 314, 322, 327-328, 341-345, 348-349, 498-503; VI, pp. 120, 314-315, 338-341, 347-348; G. Margotti, Della vita del marchese B-S., Torino 1869 (incompiuta); A. Manno, Informazioni sul Ventuno in Piemonte, Firenze 1879, pp. 14-18, 37; C. Rossi, De vita publica et privata et de scriptis Antonii Brignolis Salis Iulii F. marchionis Commentarius, in Scripta certaminis litterarii genuensis pro triennio MDCCCLXXVIII ad MDCCCLXXX, Genuae 1881, pp. 9-56 (in questa opera, alle pp. 57-99, è riprodotto anche lo scritto di A. Sommariva De vita A. Brignolis-Salis Iulii F. Marchionis Groppoliani patricii gen.);A. Brignole Sale, Lettere al bar. G. Manno da Parigi, 20 ott. 1855, in Giorn. ligustico, IX (1882), pp. 470-473; A. Neri, Lettere di A. B. S. e di G. C. Gandolfi ad A. Mazzarosa,ibid., XVI(1889), pp. 429-455; C. Cagnacci, G. Mazzini e i fratelliRuffini, Porto Maurizio 1893, p. 338 (vi è riprodotta la lettera di Giovanni Ruffini al fratello Agostino da Parigi, 14 maggio 1848, contenente i seguenti significativi passi: "Trovai all'Imbasciata un forte puzzo del buon tempo antico", "Quando notai al March. Brignole ch'io ero Deputato, fu esattamente come se gli avessi detto ch'io era un ciabattino"); G. Faldella, I fratelli Ruffini, Torino 1900, pp. 794-798; L. G. Pélissier, Le portefeuille de la comtesse d'Albany, Paris 1902, pp. 422, 444, 472, 499; M. Degli Alberti, La polit. estera del Piemonte sotto Carlo Alberto, Torino 1913-1919, ad Indicem;L. Valle, Catal. delle Pubblic. relative al Risorg. ital. possedute dalla Bibl. munic. Brignole-Sale De Ferrari di Genova, Pontremoli 1925 (p. 3 bibl. sul B., pp. 16-17 scritti del B.); M. Provana di Collegno, Diario politico, Milano 1926, ad Indicem;D. Clerico, Ilmarchese A. B. S. Profilo storico, Torino 1928; P. Lemmi, Storia polit. d'Italia. L'età napoleonica, Milano 1938, p. 579; S. Cilibrizzi, Storia parlam. polit. e diplom. d'Italia, I, Roma 1925, ad Indicem;C. Benso di Cavour, Discorsi parlam., a cura di A. Omodeo IX (1853-1854), Firenze 1941, ad Indicem;C. Spellanzon, Discussioni gelosie contrasti in Piemonte subito dopo l'armistizio Salasco, Torino 1949, pp. 8-10; P. Guichonnet, L'affaire des "Voraces" en avril 1848, Torino 1949, pp. 16-18, 31; E. Piscitelli, La legaz. sarda in Vienna, Roma 1950, ad Indicem;A. Tamborra, Cavour e i Balcani, Torino 1958, p. 87; B. Montale, A. B. s., in Genova, XLIII (1963), pp. 33-37; F. Boyer, Les Premiers contacts entre Lamartine et B. S. ambassadeur de Sardaigne à Paris, in Revue d'histoire diplom., LXXIX (1965), pp. 22-35; Storia del Parlamento italiano, diretta da N. Rodolico, III, Palermo 1965, e IV, a cura di G. Sardo, ibid. 1966, ad Indices.
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Antonio Brignole Sale (Genova, 22 maggio 1786 – Genova, 14 ottobre 1863) è stato un diplomatico e politico italiano. Fu senatore del Regno d'Italia e
presidente del senato.
Indice
1 Biografia
2 Matrimonio e figli
3 Onorificenze
3.1 Onorificenze sabaude
3.2 Onorificenze straniere
4 Bibliografia
Biografia
Figlio di Antonio Domenico Camillo Giulio Brignole Sale, marchese di Groppoli, e di Anna Maria Gaspara Vincenza Pieri, Antonio Giovanni Francesco Maria Ignazio Luigi Brignole Sale nacque a Genova il 22 maggio 1786. Egli iniziò a muovere i primi passi in politica sotto l'amministrazione napoleonica dell'area ligure, divenendo dal 12 marzo 1813 prefetto per la città di Cairo Montenotte dopo la famosa battaglia combattuta dalle truppe francesi.
Dopo la caduta della Repubblica Ligure e l'annessione della Liguria da parte del Regno di Piemonte-Sardegna, egli iniziò una carriera diplomatica e politica al servizio dei Savoia che lo vide impiegato già dal 6 dicembre 1815 come inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso il Granducato di Toscana e i ducati di Parma e Modena, rimanendo in carica sino al 24 aprile 1819. Da qui, il 15 maggio 1819 venne destinato all'ambasceria di Spagna con un breve periodo di due mesi di assenza tra il giugno e il luglio del 1826 quando venne incaricato da re Carlo Felice di Savoia (il quale lo aveva nominato Sindaco di Genova e suo Gentiluomo di Camera) di presenziare come ambasciatore straordinario all'incoronazione dello zar Nicola I di Russia.
Ambasciatore in Francia dal 5 aprile 1836, divenne presidente del senato sabaudo dal 3 maggio al 30 dicembre 1848 non prendendo mai però ufficialmente possesso dell'inarico e dal 6 ottobre 1849 al 14 maggio 1850 fu ministro plenipotenziario in Austria. Nel 1831, al termine del suo mandato come primo cittadino di Genova, venne nominato Consigliere di Stato.
Lasciò ogni incarico politico nel 1861 quando, dopo l'unità d'Italia, il governo sabaudo protese verso un crescente anticlericalismo che per lui, fervente cattolico, era parso eccessivo e pertanto si dedicò ancora più assiduamente alle opere assistenziali nella città di Genova. Divenne in questo periodo primo presidente e fondatore del Conservatorio di San Girolamo della Carità di Genova e Socio promotore dell'Accademia delle belle arti di Genova, oltre che Presidente degli Ospedali di Genova, guadagnandosi la fama di benefattore.
Morì nella città natale nel 1863.
Matrimonio e figli
Antonio Brignole Sale sposò Artemisia Negrone dalla quale ebbe una sola figlia, Maria, che andò in sposa a Raffaele De Ferrari, anch'egli nominato in seguito senatore del Regno.
Onorificenze
Onorificenze sabaude
Cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata.
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Onorificenze straniere
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Bianca (Impero di Russia)
Cavaliere di I Classe dell'Ordine di San Stanislao (Impero di Russia)
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di San Giuseppe (Granducato di Toscana)
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Dannebrog (Danimarca)
Commendatore dell'Ordine dell'Unione (Regno napoleonico d'Olanda)
Bibliografia
"Dizionario del Risorgimento nazionale. Dalle origini a Roma Capitale. Fatti e persone. Direttore Michele Rosi", Vallardi, 1930-1937, Milano. Vol. 2, pag. 409.
Ultima modifica per la pagina: 21:45, 16 ago 2011.
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Il marchesato di Groppoli, in Lunigiana (Comune di Mulazzo, pr. Massa Carrara)
BRIGNOLE SALE, Anton Giulio
Dizionario Biografico degli Italiani
di G. De Caro
BRIGNOLE SALE, Anton Giulio. - Nacque a Genova il 23 giugno 1605, da Giovan Francesco, che fu doge nel 1635, e da Geronima di Giulio Sale. Per testamento del nonno materno, privo di discendenza diretta maschile, gli toccò in eredità nel 1608 il feudo di Groppoli, con annesso titolo marchionale: ricevette la relativa investitura dal granduca Cosimo II il 27 giugno 1610, confermata dal successore Ferdinando II il 26 nov. 1626.
Mancano notizie dirette sulla prima educazione del B., sebbene appaia molto probabile che essa, in un modo o nell'altro, fosse affidata ai gesuiti, come indicano, ancor più del suo tardo ingresso nella Compagnia, le relazioni con questa della famiglia ed i moduli classicisti, cari alle scuole gesuitiche, ai quali egli sin dal principio uniformò la propria produzione letteraria. Del resto questa tradizione gli fu trasmessa soprattutto attraverso il modello del Cebà, di riconosciuta autorità nelle lettere genovesi del primo Seicento, e quello ancor più familiare del Chiabrera, interlocutore assiduo delle conversazioni letterarie in casa di Giovan Francesco durante l'adolescenza e la prima giovinezza del Brignole Sale.
Intorno al 1625 va collocato un probabile viaggio in Spagna (il B. sembra accennarvi in più luoghi dei suoi scritti), che forse coronò secondo l'uso la sua educazione. Il 9 dicembre di quell'anno sposò Paola di Giovanni Battista Adorno, di famiglia tra le più illustri della città, e il 26 nov. 1626 fu ascritto nella nobiltà genovese, disponendosi così ad assumere il posto che competeva alla sua famiglia nella vita pubblica cittadina.
Ma già il B. inclinava piuttosto alle occupazioni letterarie, e anche in questo il padre gli schiudeva la via, poiché dell'Accademia degli Addormentati, nella quale il B. fece le sue prime prove di poeta e di oratore, Giovan Francesco fu, se non membro, almeno estimatore e protettore. Un'esperienza, questa, che certo contribuì in misura notevole a circoscrivere gli orizzonti del B. nei termini del più pacifico adeguamento alla realtà, per quanto angusta, della ufficialità politica e culturale genovese, sorta come era l'Accademia stessa perché "i cittadini a' quali spettava il governo ed amministratione di esso si andassero esercitando assiduamente nelle opere di virtù" (De Marinis, p. 58), intenzione che si esprimeva persino nel modellare statuto e strutture gerarchiche della adunanza sulle istituzioni della Repubblica: in questo clima il B. tenne i discorsi poi confluiti nel Tacito abburattato, e la cosa di per sé già rende dubbie le intenzioni e capacità innovatrici che si son volute leggere in quel mediocre contributo alla moda antitacitistica.Che questo tirocinio accademico fosse pubblicamente giudicato fruttuoso ai fini dell'espletamento delle incombenze politiche, dimostrano gli incarichi attribuiti, senza altro titolo, al B. dal governo genovese nel 1633 - quando fu chiamato a far parte della commissione di patrizi eletta per le accoglienze al cardinale infante Ferdinando d'Austria - e nel 1634, allorché gli fu attribuita l'orazione per l'incoronazione dogale di Stefano Doria, incarico assolto, secondo quanto scriveva l'Assarino al Chiabrera, con tale "universal soddisfazione, che molti hanno liberamente detto che ieri il signor Anton Giulio guadagnò la corona a suo padre" (Diverse lettere, p. 15).
Migliore occasione di dipanare tutto il composito repertorio accademico del concettismo offriva però al B., nello stesso anno, la morte prematura della cognata. Le Lagrime ... per la morte della signora Emilia Adorni Raggi raccoglievano una orazione tenuta dal B. nell'Accademia degli Addormentati e varie rime occasionate dal luttuoso avvenimento (venti sonetti, una canzone ed un poemetto in versi sciolti): dove l'imitazione del Marino e del Chiabrera ad un tempo, l'uso a piene mani del repertorio mitologico, la ricerca dell'osservazione ingegnosa e del richiamo erudito, lasciano scarsa credibilità al tema del cordoglio e del rimpianto in tutte le sue variazioni; ma dove, anche, la tensione a cogliere il lento processo dissolutore della malattia mortale sembra risolvere il sensualismo della scuola in un naturalismo quasi scientifico, suggerendo la strada di una meno intellettualistica ispirazione.
Le medesime suggestioni letterarie ritornano in Le instabilità dell'ingegno, del 1635, certo l'opera del B. maggiormente ricca di motivi, di spunti, di sondaggi nelle più varie direzioni consentite dal discorso letterario barocco, pur sempre nei limiti ideologici e di gusto della scuola e sulla trama ormai consunta di una situazione di repertorio: quattro dame e quattro cavalieri genovesi, tutti accademici Addormentati, "stretti ... per parentela, somiglianti per gli anni, et incatenati per volontà", sfuggono alla peste che minaccia Genova rifugiandosi in una villa del contado, dove per otto gioniate si intrattengono in dispute accademiche coronate da canzoni, novelle, orazioni, poemetti. Marinismo e chiabrerismo dipanano anche qui tutta la gamma dei loro motivi, estenuati sino al compiacimento lascivo e addirittura al sadismo, come notava il Croce a proposito dei quattro sonetti per La cortigiana frustata.
L'audacia di certe pagine delle Instabilità mosse contro il libro il S. Uffizio di Genova ed il B. fu costretto a stamparlo a Bologna, dove evidentemente, benché in territorio ecclesiastico, più facile era, ottenere la "licenza dei superiori". Ma certamente ogni ribellione nei confronti del moralismo dominante nella vita genovese, più ancora forse che nel resto d'Italia, era estranea alle intenzioni del B., come dimostra il suo immediato dedicarsi alla letteratura devota: del 1635 è La colonna per l'anime del Purgatorio, dell'anno successivo Maria Maddalena peccatrice e convertita e Ilsantissimo rosario meditato. Naturalmente, se queste opere assicurano al B. una larga fama di scrittore pio (numerose sono di esse le ristampe e le traduzioni), quanto di più personale vi apporta l'autore, insieme con la più abusata erudizione, èdettato sempre dal suo fondamentale psicologismo. e sensualismo ed erotismo e i confini tra amore divino e passione amorosa diventano così labili che non pare improprio, al di là di ogni specifica vicinanza dottrinale e facendo soltanto riferimento al clima culturale e spirituale, accostare queste opere del B. alla letteratura quietista.
Tra gli Addormentati, di cui fu eletto principe nel 1636, il B. intraprese, con una intenzione di riforma dell'Accademia, la polemica contro il marinismo ed il tacitismo che avrebbe avuto sistemazione nel Tacito abburattato. Pubblicata soltanto nel 1643, quest'opera, giudicata "il titolo maggiore, se non unico, del B. ad avere un posto nella storia delle patrie lettere e del pensiero moderno" (Politici e moralisti, p. 304), raccoglie i discorsi da lui tenuti nelle adunanze accademiche dell'inverno 1635 e della primavera successiva.
Le intenzioni del B. sembrano a prima vista egregie, rivolte come sono contro le "cavillose sofisterie" e le "acutezze fragili" dell'accademismo barocco. Un più attento interesse ai problemi etici è, Secondo la proposta del B., la strada per uscire da "tenebre siffatte". Ma in questa ricerca egli rifiuta il sussidio della abusata autorità degli antichi, e più precisamente, inserendosi nel particolare filone dell'antitacitismo che faceva capo alle Prolusiones di Famiano Strada, respinge il magistero morale dello storico romano, "conciosiacosa che la inclinazione dell'uomo al malignare faccia oggidì credere chegli dica sempre il bene, perché quasi sempre gode in dir male". Attraverso la discussione di vari giudizi di Tacito, preso ciascuno ad occasione di un "discorso", il B. intende rivendicare la necessità di fondare il giudizio morale su una più puntuale indagine d'ordine psicologico, ma non sembrano eccessivamente fondati gli entusiasmi che hanno fatto riconoscere in lui "uno dei pensatori più originali del suo secolo e dei più decisamente avviati verso la formazione del nuovo pensiero" (Politici e moralisti, p. 304). In realtà si rimane qui nell'ambito di una problematica morale del più consunto formalismo, della più banale casistica di impronta gesuitica, ed in Tacito, in effetti, si vuole soprattutto colpire, secondo l'insegnamento del gesuita Strada, il magistero di una eticità non suffragata dalla fede cristiana. Si veda il Discorso terzo, in cui si discute se potesse Germanico appagarsi del "testimonio (come dice Tacito) della sua coscienza": questo non pare credibile al B., poiché "questo basta a' cristiani, non a' gentili; basta a quelli che una nuova vita credon dopo la morte, non a quelli, che sol credon ritrovarsi morte dopo la vita; ... basta a quelli, che co' fatti egregi aspiran solamente a vedere Dio, non a quelli, chesospiran solamente l'esser dall'uom veduti ...". Quali anticipazioni di "nuovo pensiero" si possano cogliere in questa polemica del poligrafo genovese è difficile stabilire.
Semmai il Tacito presenta qualche maggiore interesse in alcune annotazioni, marginali al discorso principale, in cui viene precisata la poetica del B., anche questa del resto ancora tutta nei limiti della ricerca del sorprendente. Un'estrema esemplificazione di questa poetica è il Carnovale, descrizione di una veglia carnevalesca nella quale il laido, il grottesco, il deforme celebrano i loro barocchi trionfi. Qui neanche l'invenzione riscatta la grossolanità di un linguaggio che si affida tutto alla salacità delle battute, al motto oscenamente allusivo. Non più ispirate le tre commedie del B., forse tutte rappresentate nell'Accademia degli Addormentati o in un altro consesso del genere, detto degli Annuvolati, che pare avesse vita per breve tempo a Genova in quegli anni: Il geloso non geloso,Li comici schiavi e Glidue anelli simili, tutte informate alle solite vicende di intrighi, travestimenti e agnizioni della tradizione classica, mediata, per talune situazioni comiche, dall'imitazione di Flaminio Scala e con qualche marginale apporto della commedia dell'arte.
Alla voga del romanzo secentesco il B. dava pure il suo contributo con la Istoria spagnola, a quanto pare un lavoro giovanile sul quale ritornò tra il 1640 ed il 1642. Derivato da un testo di Ginés Perez de Hita - una tragica vicenda d'amore sullo sfondo degli ultimi anni del regno arabo di Granada -, tradisce largamente la freschezza dell'originale nella preoccupazione di accentuarne gli elementi di intrigo e di richiamare imodelli cavallereschi dell'Ariosto e del Tasso.
Ma ora le occupazioni letterarie lasciano per qualche anno il passo agli impegni politici, ai quali il B. si andò sempre più avvicinando dopo la morte del padre, come gli imponevano gli obblighi sociali della sua famiglia. Le prime cariche pubbliche di cui si abbia notizia furono quelle di provisor triremium e di provisor vini, ambedue nel 1638; nel 1642 fu degli inquisitori di Stato e l'anno successivo dei magistrati dell'Annona. Nel 1642 rispose ad un appello rivolto dal Senato ai più doviziosi cittadini, contribuendo con l'armamento di una galera al rafforzamento della flotta genovese contro la minaccia dei Barbareschi.
Pare peraltro che dietro questa iniziativa del Senato fosse anche l'intenzione di rafforzare, con una più significativa presenza sul mare, il prestigio della Repubblica in particolar modo nei confronti della Spagna, verso la quale sempre di più si accentuava, non senza patetici e in gran parte formali tentativi di resistenza, la dipendenza dello Stato ligure. Che queste intenzioni fossero condivise dal B. pare dimostrato dal fatto che a lui, in quegli anni, fu affidata un'ambasceria alla corte di Filippo IV, che aveva come fine principale appunto quello di rivendicare la dignità ed indipendenza della Repubblica contro quel soffocante e sprezzante protettorato; ed è attribuito al B., ma la cosa non è del tutto sicura, un opuscolo anomino pubblicato a Genova nel 1642 (Congratulazioni ... pe'l nuovo armamento delle galee di un cittadino zelante habitante in Napoli)che, ricordando la passata grandezza e l'attuale decadenza della Repubblica, elogiava apertamente le riposte intenzioni di rafforzamento della squadra navale genovese "contro sommo sforzo di reali armate, che ad ogni tratto sorgon sulle nostre spiagge questi ultimi anni".
All'ambasceria straordinaria in Spagna il B. fu designato nel novembre del 1643. Tra le principali questioni di cui le prime istruzioni lo investivano (altre gliene furono inviate dopo il suo arrivo in Spagna, datate 3 ag. 1644, relative tuttavia soltanto ad alcuni contrasti insorti tra la Repubblica e l'ambasciatore spagnolo, conte di Siruela) era quella del riconoscimento del titolo e grado regio che la Repubblica si era attribuita nel 1637, riconoscimento già ottenuto dal papa e dall'imperatore, ma eluso dalla corte spagnola. Non meno a cuore stava al governo genovese la questione dell'antico privilegio del Banco di S. Giorgio di vendere il sale nel marchesato del Finale, riconosciuto dagli Spagnoli sin dal tempo di Filippo III, ma praticamente ignorato dai governatori milanesi. Ultima questione era quella della "separazione degli arrendamenti" operata dal viceré di Napoli, la ridistribuzione cioè dell'appalto della gabella del vino, già attribuita ai mercanti genovesi, in favore di alcuni esponenti della famiglia Caracciolo.
Su quest'ultimo punto il B. ottenne piena soddisfazione dal Consiglio d'Italia, "ancorché ci fusse il regente Caracciolo, che si poteva temere parte non men che giudice" (Istruzioni e relazioni p. 265). Assai meno soddisfacenti furono i risultati ottenuti dal B. relativamente alle altre due rivendicazioni genovesi. Qui gli ostacoli venivano, prima che da effettiva ostilità della corte spagnola, dalle lungaggini e dalle incertezze del re e dei suoi ministri, aggravate anche dagli impegni militari di Filippo IV in Catalogna contro i Francesi, dalla morte della regina Isabella, incaricata della reggenza durante la lontananza del re, e da altri avvenimenti di corte. Ma se sulla questione del titolo regio il B. dovette rassegnarsi a lasciare la conclusione ai suoi successori, su quella del sale poteva vantarsi di aver ottenuto dal Consiglio d'Italia una consulta del tutto favorevole al Banco di S. Giorgio.
Tornato in Italia nell'agosto del 1646, il B. fu eletto in quello stesso anno tra i consultores legum, nel successivo tra i supremi sindicatores e il 1º luglio 1648 fu nominato senatore. Compì vari viaggi in questi anni in Lombardia, a Venezia, a Roma; ma ormai la letteratura riaffermava i suoi diritti. Nel 1648 pubblicò due tra le sue opere maggiori, Il satirico innocente e La vita di sant'Alessio.
È la prima una raccolta di epigrammi di argomento prevalentemente letterario, che il B. finge tradotti da un manoscritto greco, in parte variamente illustrati e commentati nella seconda parte dell'opera. Il "fronzuto e pampinoso Marino" è, con la sua scuola, oggetto di una polemica aspra e spesso felice, che si estende volentieri anche al concettismo dell'oratoria sacra, al suo uso "soverchio di fioretti, buffonerie, paradossi e stiracchiamenti". Sul piano stilistico il Satirico, sia negli epigrammi sia nella parte in prosa, costituisce uno dei più cospicui tentativi compiuti in quel tempo in direzione di un linguaggio sobrio e incisivo, ricerca poi ripresa nel Sant'Alessio.
La pia leggenda anche in questo caso è soltanto un pretesto letterario, la cui ambiguità deve essere rilevata nella valutazione delle intenzioni che di lì a poco condurranno il B. ad abbracciare la vita religiosa. L'accanita difesa che tra mille peripezie il santo fa della propria castità nei confronti della bella e giovane moglie offre al B. il pretesto per un nuovo romanzo che non meno dell'Istoria spagnola divaga nell'intrigo e nell'avventura; ma ora il B. dispone di più raffinata psicologia, di migliore arte narrativa; lo stile è alieno dalle narcisistiche variazioni di un tempo, la metafora più sobriamente impiegata e più puntualmente giustificata. Quasi sempre l'esigenza di una più penetrante caratterizzazione dei personaggi, di una più articolata lettura dei loro atteggiamenti, prevale sugli intenti agiografici: in realtà nulla in quest'opera sembra autorizzare la previsione di quella decisa scelta della vita religiosa che il B. avrebbe di li a poco compiuto.
Nel gennaio del 1648 il B. rimase vedovo. Dal suo matrimonio erano nati Giovanni Domenico, Rodolfo, Giovan Francesco e Giovanni Battista, oltre a tre femmine. Ma le cure di una così numerosa famiglia non valsero a trattenerlo dalla decisione di votarsi alla vita religiosa. Dopo aver rinunziato nel dicembre del 1648 alla carica senatoria, entrò nell'anno successivo come semplice sacerdote nelle missioni urbane istituite dal cardinale Stefano Durazzo, per passare poi, nel 1652, nella Compagnia di Gesù.
Non pare possibile trarre da questa conversione del B. alla vita religiosa troppo impegnative illazioni in sede propriamente letteraria. Vero è che l'influenza della cultura gesuitica è un elemento costante di tutta la sua attività letteraria, anche se la polemica antibarocca riceve una più articolata ed esclusiva adesione soltanto nelle opere più mature; ma che il B. fosse spinto ad entrare nella Compagnia non da un'esigenza essenzialmente stilistico-retorica - come da taluno si è voluto, nel senso appunto di una anche esterna professione di classicismo - ma piuttosto da un'esigenza morale e religiosa, è dimostrato dalla sua rinunzia alla letteratura a partire proprio dal momento del suo ingresso tra i gesuiti. L'ultima opera, Panegirici sacri, che raccoglie due prediche in onore di s. Gaetano da Thiene e di s. Andrea Avellino nelle quali si riflette il programma di sobrietà illustrato dal Satirico, è infatti del 1652.
Morì a Genova nel 1665.
Opere: L'orazione in onore di Giovanni Stefano Doria fu pubblicata insieme con quella recitata nella stessa occasione da L. Albrici in Nella coronatione del serenissimo Giovanni Stefano Doria duce della Repubblica di Genova, Genova 1634; Lagrime ... per la morte della signora Emilia Adorni Raggi, Piacenza 1634; Le instabilità dell'ingegno,divise in otto giornate, Bologna 1635 (ristampate a Venezia, con qualche variante, nel 1641 e nel 1642); La colonna per l'anime del Purgatorio, Genova 1635; Maria Maddalena peccatrice e convertita, pubblicata a Genova nel 1636, a Venezia nel 1662, a Milano nel 1671, tradotta in francese ad Aix nel 1674 dal frate P. de St.-André; Ilsantissimo rosario meditato, Genova 1636 e 1647; Il carnovale. Opera accademica, pubblicato a Venezia nel 1639 sotto lo pseudonimo anagrammatico di Gotilvannio Salliebregno, ristampato, sempre a Venezia, nel 1641 e nel 1663; Il geloso non geloso, che dapprima costituì la terza parte del Carnovale, fustampata separatamente a Venezia nel 1639 e nel 1663; Gli due anelli simili, secondo il sottotitolo del manoscritto "comedia recitata nella città di Genova nel carnevale dell'anno 1637", fu stampata a Macerata nel 1671; Li comici schiavi, a Cuneo nel 1666 con lo pseudonimo di Gabriele Antonio Lusino; del B. è anche un Intermezzo, recitato con la commedia Ilfazzoletto diFrancesco Maria Marini nel 1642, pubblicato dal De Marinis, pp. 309-317; erroneamente gli editori della commedia del Marini, pubblicata a Bologna nel 1683, la attribuirono al B.; Della storia spagnola. I primi quattro libri, stampata a Genova nel 1640, fu pubblicata completa col titolo L'istoria spagnola a Genova nel 1642 e dedicata al granduca di Toscana Ferdinando II; Tacito abburattato. Discorsi politici e morali, Genova 1643, antologizzato in Politici e moralisti del Seicento, a cura di B. Croce e S. Caramella, Bari 1914, pp. 175-254; Il satirico innocente. Epigrammi trasportati dal greco all'italiano e commentati, Genova 1648; La vita di s. Alessio descritta et arricchita con nuovi episodi, Genova 1648, tradotta in francese ancora dal St.-André nel 1674; Panegirici sacri, Genova s.d., ma 1652. Il De Marinis pubblica a pp. 333-336 ildiscorso pronunziato dal B. nel marzo del 1645alla presenza di Filippo IV, estratto da una lettera dello stesso B., e la relazione finale dell'ambasceria, ristampata insieme con le istruzioni in Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, III, Spagna: 1636-1655, a cura di R. Ciasca, Roma 1955, pp. 144-150, 165-173; una lettera del B. a proposito del suo feudo di Groppoli in Archivio di Stato di Firenze, Mediceo,del principato, f. 2744.
Fonti e Bibl.: L. Assarino, Diverse lettere e componimenti, Venezia 1640, p. 15; Id., Ragguagli di Cipro, Bologna 1642, passim;P. G. Giustiniani, Odi encomiastiche e morali, Genova 1635, p. 149; P. F. Minozzi, Delle libidini dell'ingegno, Venezia 1636, p. 13; G. B. Manzini, Lettere, Bologna 1646, passim;Id., Discorsi problematici, Genova-Bologna 1930, passim;G. Ciampoli, Lettere. Bologna, s.d., p. 199; G. A. Interiano, Genova illustrata. Panegirico con un discorso precedente ...intorno alla poesia, Genova 1644, sestine 152 s.; B. Morando, La Rosalinda ... spiegata in diecilibri, Piacenza 1650, p. 439;G. M. Visconte, Alcune memorie delle virtù del p. A. G. B. S.genovese,della Compagnia di Gesù, Milano 1666; M. Giustiniani, Gli scrittori liguri, Roma 1667, I, pp. 92ss.; R. Sprani, Liscrittori della Liguria,e particolarmente della marittima, Genova 1667, pp. 42ss.; A. Aprosio, La biblioteca aprosiana, Bologna 1673, pp. 491ss.; F. Meninni, Ritrattodel sonetto e della canzone,discorsi, Napoli 1677, pp. 135ss.; A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum, Perusiae 1680, pp. 54ss.; G. Chiabrera, Letterea P. G. Giustiniani, Genova 1829, passim;G. A. Patrignani, Menologio di pie memorie d'alcuni religiosi della Compagnia di Gesù, Venezia 1730, 12 pp. I. pp. 141ss.; G. M. Crescimbeni, Comentariiintorno alla storia della volgar poesia, Venezia 1730, IV, p. 155; F. S. Quadrio, Della storia edella ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, pp. 308, 673;III, ibid. 1742, pp. 365, 377;V, ibid. 1744, pp. 104, 354, 467;VI, ibid. 1749, p. 178; VII, ibid. 1752, p. 31;G. M. Mazzuchelli, GliScrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2098-2101;E. Brignole, Testamenti e codicilli, Genova 1782, pp. 27 s.; P. Napoli Signorelli, Storia critica dei teatri antichi e moderni, Napoli 1813. VI, p. 309; G. Ferrari, Corso sugli scrittori politici italiani, Milano 1862, pp. 501, 506;A. Albertazzi, Romanzieri e romanzi del Cinquecento edel Seicento, Bologna 1891, p. 182;F. Ramorino, Cornelio Tacito nella storia della cultura, Firenze 1898, pp. 34 s.; B. Croce, Saggi sulla letteraturaitaliana del Seicento, Bari 1911, pp. 386, 412ss.; dello stesso si veda anche Lirici marinisti, Bari 1910, pp. 300, 302, che raccoglie alcuni versi del B., e la cit. Politici e moralisti del Seicento, con la nota biografica relativa al B. di S. Caramella alle pp. 303-306;M. De Marinis, A. G. B. S.e i suoi tempi, Genova 1914; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1929, pp. 88 ss.;S. Bertelli, Storiografi,eruditi,antiquari politici, in Storia dellaletteratura italiana, a cura di E. Cecchi e N. Sapegno, V, Milano 1967, pp. 399 s.; L. Bitner-L. Gross, Repertorium der diplomat. Vertreter, I, Berlin 1936, pp. 247, 250.
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BRIGNOLE SALE, Anton Giulio. - Nacque a Genova il 23 giugno 1605, da Giovan Francesco, che fu doge nel 1635, e da Geronima di Giulio Sale. Per testamento del nonno materno, privo di discendenza diretta maschile, gli toccò in eredità nel 1608 il feudo di Groppoli, con annesso titolo marchionale: ricevette la relativa investitura dal granduca Cosimo II il 27 giugno 1610, confermata dal successore Ferdinando II il 26 nov. 1626.
Mancano notizie dirette sulla prima educazione del B., sebbene appaia molto probabile che essa, in un modo o nell'altro, fosse affidata ai gesuiti, come indicano, ancor più del suo tardo ingresso nella Compagnia, le relazioni con questa della famiglia ed i moduli classicisti, cari alle scuole gesuitiche, ai quali egli sin dal principio uniformò la propria produzione letteraria. Del resto questa tradizione gli fu trasmessa soprattutto attraverso il modello del Cebà, di riconosciuta autorità nelle lettere genovesi del primo Seicento, e quello ancor più familiare del Chiabrera, interlocutore assiduo delle conversazioni letterarie in casa di Giovan Francesco durante l'adolescenza e la prima giovinezza del Brignole Sale.
Intorno al 1625 va collocato un probabile viaggio in Spagna (il B. sembra accennarvi in più luoghi dei suoi scritti), che forse coronò secondo l'uso la sua educazione. Il 9 dicembre di quell'anno sposò Paola di Giovanni Battista Adorno, di famiglia tra le più illustri della città, e il 26 nov. 1626 fu ascritto nella nobiltà genovese, disponendosi così ad assumere il posto che competeva alla sua famiglia nella vita pubblica cittadina.
Ma già il B. inclinava piuttosto alle occupazioni letterarie, e anche in questo il padre gli schiudeva la via, poiché dell'Accademia degli Addormentati, nella quale il B. fece le sue prime prove di poeta e di oratore, Giovan Francesco fu, se non membro, almeno estimatore e protettore. Un'esperienza, questa, che certo contribuì in misura notevole a circoscrivere gli orizzonti del B. nei termini del più pacifico adeguamento alla realtà, per quanto angusta, della ufficialità politica e culturale genovese, sorta come era l'Accademia stessa perché "i cittadini a' quali spettava il governo ed amministratione di esso si andassero esercitando assiduamente nelle opere di virtù" (De Marinis, p. 58), intenzione che si esprimeva persino nel modellare statuto e strutture gerarchiche della adunanza sulle istituzioni della Repubblica: in questo clima il B. tenne i discorsi poi confluiti nel Tacito abburattato, e la cosa di per sé già rende dubbie le intenzioni e capacità innovatrici che si son volute leggere in quel mediocre contributo alla moda antitacitistica.Che questo tirocinio accademico fosse pubblicamente giudicato fruttuoso ai fini dell'espletamento delle incombenze politiche, dimostrano gli incarichi attribuiti, senza altro titolo, al B. dal governo genovese nel 1633 - quando fu chiamato a far parte della commissione di patrizi eletta per le accoglienze al cardinale infante Ferdinando d'Austria - e nel 1634, allorché gli fu attribuita l'orazione per l'incoronazione dogale di Stefano Doria, incarico assolto, secondo quanto scriveva l'Assarino al Chiabrera, con tale "universal soddisfazione, che molti hanno liberamente detto che ieri il signor Anton Giulio guadagnò la corona a suo padre" (Diverse lettere, p. 15).
Migliore occasione di dipanare tutto il composito repertorio accademico del concettismo offriva però al B., nello stesso anno, la morte prematura della cognata. Le Lagrime ... per la morte della signora Emilia Adorni Raggi raccoglievano una orazione tenuta dal B. nell'Accademia degli Addormentati e varie rime occasionate dal luttuoso avvenimento (venti sonetti, una canzone ed un poemetto in versi sciolti): dove l'imitazione del Marino e del Chiabrera ad un tempo, l'uso a piene mani del repertorio mitologico, la ricerca dell'osservazione ingegnosa e del richiamo erudito, lasciano scarsa credibilità al tema del cordoglio e del rimpianto in tutte le sue variazioni; ma dove, anche, la tensione a cogliere il lento processo dissolutore della malattia mortale sembra risolvere il sensualismo della scuola in un naturalismo quasi scientifico, suggerendo la strada di una meno intellettualistica ispirazione.
Le medesime suggestioni letterarie ritornano in Le instabilità dell'ingegno, del 1635, certo l'opera del B. maggiormente ricca di motivi, di spunti, di sondaggi nelle più varie direzioni consentite dal discorso letterario barocco, pur sempre nei limiti ideologici e di gusto della scuola e sulla trama ormai consunta di una situazione di repertorio: quattro dame e quattro cavalieri genovesi, tutti accademici Addormentati, "stretti ... per parentela, somiglianti per gli anni, et incatenati per volontà", sfuggono alla peste che minaccia Genova rifugiandosi in una villa del contado, dove per otto gioniate si intrattengono in dispute accademiche coronate da canzoni, novelle, orazioni, poemetti. Marinismo e chiabrerismo dipanano anche qui tutta la gamma dei loro motivi, estenuati sino al compiacimento lascivo e addirittura al sadismo, come notava il Croce a proposito dei quattro sonetti per La cortigiana frustata.
L'audacia di certe pagine delle Instabilità mosse contro il libro il S. Uffizio di Genova ed il B. fu costretto a stamparlo a Bologna, dove evidentemente, benché in territorio ecclesiastico, più facile era, ottenere la "licenza dei superiori". Ma certamente ogni ribellione nei confronti del moralismo dominante nella vita genovese, più ancora forse che nel resto d'Italia, era estranea alle intenzioni del B., come dimostra il suo immediato dedicarsi alla letteratura devota: del 1635 è La colonna per l'anime del Purgatorio, dell'anno successivo Maria Maddalena peccatrice e convertita e Ilsantissimo rosario meditato. Naturalmente, se queste opere assicurano al B. una larga fama di scrittore pio (numerose sono di esse le ristampe e le traduzioni), quanto di più personale vi apporta l'autore, insieme con la più abusata erudizione, èdettato sempre dal suo fondamentale psicologismo. e sensualismo ed erotismo e i confini tra amore divino e passione amorosa diventano così labili che non pare improprio, al di là di ogni specifica vicinanza dottrinale e facendo soltanto riferimento al clima culturale e spirituale, accostare queste opere del B. alla letteratura quietista.
Tra gli Addormentati, di cui fu eletto principe nel 1636, il B. intraprese, con una intenzione di riforma dell'Accademia, la polemica contro il marinismo ed il tacitismo che avrebbe avuto sistemazione nel Tacito abburattato. Pubblicata soltanto nel 1643, quest'opera, giudicata "il titolo maggiore, se non unico, del B. ad avere un posto nella storia delle patrie lettere e del pensiero moderno" (Politici e moralisti, p. 304), raccoglie i discorsi da lui tenuti nelle adunanze accademiche dell'inverno 1635 e della primavera successiva.
Le intenzioni del B. sembrano a prima vista egregie, rivolte come sono contro le "cavillose sofisterie" e le "acutezze fragili" dell'accademismo barocco. Un più attento interesse ai problemi etici è, Secondo la proposta del B., la strada per uscire da "tenebre siffatte". Ma in questa ricerca egli rifiuta il sussidio della abusata autorità degli antichi, e più precisamente, inserendosi nel particolare filone dell'antitacitismo che faceva capo alle Prolusiones di Famiano Strada, respinge il magistero morale dello storico romano, "conciosiacosa che la inclinazione dell'uomo al malignare faccia oggidì credere chegli dica sempre il bene, perché quasi sempre gode in dir male". Attraverso la discussione di vari giudizi di Tacito, preso ciascuno ad occasione di un "discorso", il B. intende rivendicare la necessità di fondare il giudizio morale su una più puntuale indagine d'ordine psicologico, ma non sembrano eccessivamente fondati gli entusiasmi che hanno fatto riconoscere in lui "uno dei pensatori più originali del suo secolo e dei più decisamente avviati verso la formazione del nuovo pensiero" (Politici e moralisti, p. 304). In realtà si rimane qui nell'ambito di una problematica morale del più consunto formalismo, della più banale casistica di impronta gesuitica, ed in Tacito, in effetti, si vuole soprattutto colpire, secondo l'insegnamento del gesuita Strada, il magistero di una eticità non suffragata dalla fede cristiana. Si veda il Discorso terzo, in cui si discute se potesse Germanico appagarsi del "testimonio (come dice Tacito) della sua coscienza": questo non pare credibile al B., poiché "questo basta a' cristiani, non a' gentili; basta a quelli che una nuova vita credon dopo la morte, non a quelli, che sol credon ritrovarsi morte dopo la vita; ... basta a quelli, che co' fatti egregi aspiran solamente a vedere Dio, non a quelli, chesospiran solamente l'esser dall'uom veduti ...". Quali anticipazioni di "nuovo pensiero" si possano cogliere in questa polemica del poligrafo genovese è difficile stabilire.
Semmai il Tacito presenta qualche maggiore interesse in alcune annotazioni, marginali al discorso principale, in cui viene precisata la poetica del B., anche questa del resto ancora tutta nei limiti della ricerca del sorprendente. Un'estrema esemplificazione di questa poetica è il Carnovale, descrizione di una veglia carnevalesca nella quale il laido, il grottesco, il deforme celebrano i loro barocchi trionfi. Qui neanche l'invenzione riscatta la grossolanità di un linguaggio che si affida tutto alla salacità delle battute, al motto oscenamente allusivo. Non più ispirate le tre commedie del B., forse tutte rappresentate nell'Accademia degli Addormentati o in un altro consesso del genere, detto degli Annuvolati, che pare avesse vita per breve tempo a Genova in quegli anni: Il geloso non geloso,Li comici schiavi e Glidue anelli simili, tutte informate alle solite vicende di intrighi, travestimenti e agnizioni della tradizione classica, mediata, per talune situazioni comiche, dall'imitazione di Flaminio Scala e con qualche marginale apporto della commedia dell'arte.
Alla voga del romanzo secentesco il B. dava pure il suo contributo con la Istoria spagnola, a quanto pare un lavoro giovanile sul quale ritornò tra il 1640 ed il 1642. Derivato da un testo di Ginés Perez de Hita - una tragica vicenda d'amore sullo sfondo degli ultimi anni del regno arabo di Granada -, tradisce largamente la freschezza dell'originale nella preoccupazione di accentuarne gli elementi di intrigo e di richiamare imodelli cavallereschi dell'Ariosto e del Tasso.
Ma ora le occupazioni letterarie lasciano per qualche anno il passo agli impegni politici, ai quali il B. si andò sempre più avvicinando dopo la morte del padre, come gli imponevano gli obblighi sociali della sua famiglia. Le prime cariche pubbliche di cui si abbia notizia furono quelle di provisor triremium e di provisor vini, ambedue nel 1638; nel 1642 fu degli inquisitori di Stato e l'anno successivo dei magistrati dell'Annona. Nel 1642 rispose ad un appello rivolto dal Senato ai più doviziosi cittadini, contribuendo con l'armamento di una galera al rafforzamento della flotta genovese contro la minaccia dei Barbareschi.
Pare peraltro che dietro questa iniziativa del Senato fosse anche l'intenzione di rafforzare, con una più significativa presenza sul mare, il prestigio della Repubblica in particolar modo nei confronti della Spagna, verso la quale sempre di più si accentuava, non senza patetici e in gran parte formali tentativi di resistenza, la dipendenza dello Stato ligure. Che queste intenzioni fossero condivise dal B. pare dimostrato dal fatto che a lui, in quegli anni, fu affidata un'ambasceria alla corte di Filippo IV, che aveva come fine principale appunto quello di rivendicare la dignità ed indipendenza della Repubblica contro quel soffocante e sprezzante protettorato; ed è attribuito al B., ma la cosa non è del tutto sicura, un opuscolo anomino pubblicato a Genova nel 1642 (Congratulazioni ... pe'l nuovo armamento delle galee di un cittadino zelante habitante in Napoli)che, ricordando la passata grandezza e l'attuale decadenza della Repubblica, elogiava apertamente le riposte intenzioni di rafforzamento della squadra navale genovese "contro sommo sforzo di reali armate, che ad ogni tratto sorgon sulle nostre spiagge questi ultimi anni".
All'ambasceria straordinaria in Spagna il B. fu designato nel novembre del 1643. Tra le principali questioni di cui le prime istruzioni lo investivano (altre gliene furono inviate dopo il suo arrivo in Spagna, datate 3 ag. 1644, relative tuttavia soltanto ad alcuni contrasti insorti tra la Repubblica e l'ambasciatore spagnolo, conte di Siruela) era quella del riconoscimento del titolo e grado regio che la Repubblica si era attribuita nel 1637, riconoscimento già ottenuto dal papa e dall'imperatore, ma eluso dalla corte spagnola. Non meno a cuore stava al governo genovese la questione dell'antico privilegio del Banco di S. Giorgio di vendere il sale nel marchesato del Finale, riconosciuto dagli Spagnoli sin dal tempo di Filippo III, ma praticamente ignorato dai governatori milanesi. Ultima questione era quella della "separazione degli arrendamenti" operata dal viceré di Napoli, la ridistribuzione cioè dell'appalto della gabella del vino, già attribuita ai mercanti genovesi, in favore di alcuni esponenti della famiglia Caracciolo.
Su quest'ultimo punto il B. ottenne piena soddisfazione dal Consiglio d'Italia, "ancorché ci fusse il regente Caracciolo, che si poteva temere parte non men che giudice" (Istruzioni e relazioni p. 265). Assai meno soddisfacenti furono i risultati ottenuti dal B. relativamente alle altre due rivendicazioni genovesi. Qui gli ostacoli venivano, prima che da effettiva ostilità della corte spagnola, dalle lungaggini e dalle incertezze del re e dei suoi ministri, aggravate anche dagli impegni militari di Filippo IV in Catalogna contro i Francesi, dalla morte della regina Isabella, incaricata della reggenza durante la lontananza del re, e da altri avvenimenti di corte. Ma se sulla questione del titolo regio il B. dovette rassegnarsi a lasciare la conclusione ai suoi successori, su quella del sale poteva vantarsi di aver ottenuto dal Consiglio d'Italia una consulta del tutto favorevole al Banco di S. Giorgio.
Tornato in Italia nell'agosto del 1646, il B. fu eletto in quello stesso anno tra i consultores legum, nel successivo tra i supremi sindicatores e il 1º luglio 1648 fu nominato senatore. Compì vari viaggi in questi anni in Lombardia, a Venezia, a Roma; ma ormai la letteratura riaffermava i suoi diritti. Nel 1648 pubblicò due tra le sue opere maggiori, Il satirico innocente e La vita di sant'Alessio.
È la prima una raccolta di epigrammi di argomento prevalentemente letterario, che il B. finge tradotti da un manoscritto greco, in parte variamente illustrati e commentati nella seconda parte dell'opera. Il "fronzuto e pampinoso Marino" è, con la sua scuola, oggetto di una polemica aspra e spesso felice, che si estende volentieri anche al concettismo dell'oratoria sacra, al suo uso "soverchio di fioretti, buffonerie, paradossi e stiracchiamenti". Sul piano stilistico il Satirico, sia negli epigrammi sia nella parte in prosa, costituisce uno dei più cospicui tentativi compiuti in quel tempo in direzione di un linguaggio sobrio e incisivo, ricerca poi ripresa nel Sant'Alessio.
La pia leggenda anche in questo caso è soltanto un pretesto letterario, la cui ambiguità deve essere rilevata nella valutazione delle intenzioni che di lì a poco condurranno il B. ad abbracciare la vita religiosa. L'accanita difesa che tra mille peripezie il santo fa della propria castità nei confronti della bella e giovane moglie offre al B. il pretesto per un nuovo romanzo che non meno dell'Istoria spagnola divaga nell'intrigo e nell'avventura; ma ora il B. dispone di più raffinata psicologia, di migliore arte narrativa; lo stile è alieno dalle narcisistiche variazioni di un tempo, la metafora più sobriamente impiegata e più puntualmente giustificata. Quasi sempre l'esigenza di una più penetrante caratterizzazione dei personaggi, di una più articolata lettura dei loro atteggiamenti, prevale sugli intenti agiografici: in realtà nulla in quest'opera sembra autorizzare la previsione di quella decisa scelta della vita religiosa che il B. avrebbe di li a poco compiuto.
Nel gennaio del 1648 il B. rimase vedovo. Dal suo matrimonio erano nati Giovanni Domenico, Rodolfo, Giovan Francesco e Giovanni Battista, oltre a tre femmine. Ma le cure di una così numerosa famiglia non valsero a trattenerlo dalla decisione di votarsi alla vita religiosa. Dopo aver rinunziato nel dicembre del 1648 alla carica senatoria, entrò nell'anno successivo come semplice sacerdote nelle missioni urbane istituite dal cardinale Stefano Durazzo, per passare poi, nel 1652, nella Compagnia di Gesù.
Non pare possibile trarre da questa conversione del B. alla vita religiosa troppo impegnative illazioni in sede propriamente letteraria. Vero è che l'influenza della cultura gesuitica è un elemento costante di tutta la sua attività letteraria, anche se la polemica antibarocca riceve una più articolata ed esclusiva adesione soltanto nelle opere più mature; ma che il B. fosse spinto ad entrare nella Compagnia non da un'esigenza essenzialmente stilistico-retorica - come da taluno si è voluto, nel senso appunto di una anche esterna professione di classicismo - ma piuttosto da un'esigenza morale e religiosa, è dimostrato dalla sua rinunzia alla letteratura a partire proprio dal momento del suo ingresso tra i gesuiti. L'ultima opera, Panegirici sacri, che raccoglie due prediche in onore di s. Gaetano da Thiene e di s. Andrea Avellino nelle quali si riflette il programma di sobrietà illustrato dal Satirico, è infatti del 1652.
Morì a Genova nel 1665.
Opere: L'orazione in onore di Giovanni Stefano Doria fu pubblicata insieme con quella recitata nella stessa occasione da L. Albrici in Nella coronatione del serenissimo Giovanni Stefano Doria duce della Repubblica di Genova, Genova 1634; Lagrime ... per la morte della signora Emilia Adorni Raggi, Piacenza 1634; Le instabilità dell'ingegno,divise in otto giornate, Bologna 1635 (ristampate a Venezia, con qualche variante, nel 1641 e nel 1642); La colonna per l'anime del Purgatorio, Genova 1635; Maria Maddalena peccatrice e convertita, pubblicata a Genova nel 1636, a Venezia nel 1662, a Milano nel 1671, tradotta in francese ad Aix nel 1674 dal frate P. de St.-André; Ilsantissimo rosario meditato, Genova 1636 e 1647; Il carnovale. Opera accademica, pubblicato a Venezia nel 1639 sotto lo pseudonimo anagrammatico di Gotilvannio Salliebregno, ristampato, sempre a Venezia, nel 1641 e nel 1663; Il geloso non geloso, che dapprima costituì la terza parte del Carnovale, fustampata separatamente a Venezia nel 1639 e nel 1663; Gli due anelli simili, secondo il sottotitolo del manoscritto "comedia recitata nella città di Genova nel carnevale dell'anno 1637", fu stampata a Macerata nel 1671; Li comici schiavi, a Cuneo nel 1666 con lo pseudonimo di Gabriele Antonio Lusino; del B. è anche un Intermezzo, recitato con la commedia Ilfazzoletto diFrancesco Maria Marini nel 1642, pubblicato dal De Marinis, pp. 309-317; erroneamente gli editori della commedia del Marini, pubblicata a Bologna nel 1683, la attribuirono al B.; Della storia spagnola. I primi quattro libri, stampata a Genova nel 1640, fu pubblicata completa col titolo L'istoria spagnola a Genova nel 1642 e dedicata al granduca di Toscana Ferdinando II; Tacito abburattato. Discorsi politici e morali, Genova 1643, antologizzato in Politici e moralisti del Seicento, a cura di B. Croce e S. Caramella, Bari 1914, pp. 175-254; Il satirico innocente. Epigrammi trasportati dal greco all'italiano e commentati, Genova 1648; La vita di s. Alessio descritta et arricchita con nuovi episodi, Genova 1648, tradotta in francese ancora dal St.-André nel 1674; Panegirici sacri, Genova s.d., ma 1652. Il De Marinis pubblica a pp. 333-336 ildiscorso pronunziato dal B. nel marzo del 1645alla presenza di Filippo IV, estratto da una lettera dello stesso B., e la relazione finale dell'ambasceria, ristampata insieme con le istruzioni in Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, III, Spagna: 1636-1655, a cura di R. Ciasca, Roma 1955, pp. 144-150, 165-173; una lettera del B. a proposito del suo feudo di Groppoli in Archivio di Stato di Firenze, Mediceo,del principato, f. 2744.
Fonti e Bibl.: L. Assarino, Diverse lettere e componimenti, Venezia 1640, p. 15; Id., Ragguagli di Cipro, Bologna 1642, passim;P. G. Giustiniani, Odi encomiastiche e morali, Genova 1635, p. 149; P. F. Minozzi, Delle libidini dell'ingegno, Venezia 1636, p. 13; G. B. Manzini, Lettere, Bologna 1646, passim;Id., Discorsi problematici, Genova-Bologna 1930, passim;G. Ciampoli, Lettere. Bologna, s.d., p. 199; G. A. Interiano, Genova illustrata. Panegirico con un discorso precedente ...intorno alla poesia, Genova 1644, sestine 152 s.; B. Morando, La Rosalinda ... spiegata in diecilibri, Piacenza 1650, p. 439;G. M. Visconte, Alcune memorie delle virtù del p. A. G. B. S.genovese,della Compagnia di Gesù, Milano 1666; M. Giustiniani, Gli scrittori liguri, Roma 1667, I, pp. 92ss.; R. Sprani, Liscrittori della Liguria,e particolarmente della marittima, Genova 1667, pp. 42ss.; A. Aprosio, La biblioteca aprosiana, Bologna 1673, pp. 491ss.; F. Meninni, Ritrattodel sonetto e della canzone,discorsi, Napoli 1677, pp. 135ss.; A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum, Perusiae 1680, pp. 54ss.; G. Chiabrera, Letterea P. G. Giustiniani, Genova 1829, passim;G. A. Patrignani, Menologio di pie memorie d'alcuni religiosi della Compagnia di Gesù, Venezia 1730, 12 pp. I. pp. 141ss.; G. M. Crescimbeni, Comentariiintorno alla storia della volgar poesia, Venezia 1730, IV, p. 155; F. S. Quadrio, Della storia edella ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, pp. 308, 673;III, ibid. 1742, pp. 365, 377;V, ibid. 1744, pp. 104, 354, 467;VI, ibid. 1749, p. 178; VII, ibid. 1752, p. 31;G. M. Mazzuchelli, GliScrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2098-2101;E. Brignole, Testamenti e codicilli, Genova 1782, pp. 27 s.; P. Napoli Signorelli, Storia critica dei teatri antichi e moderni, Napoli 1813. VI, p. 309; G. Ferrari, Corso sugli scrittori politici italiani, Milano 1862, pp. 501, 506;A. Albertazzi, Romanzieri e romanzi del Cinquecento edel Seicento, Bologna 1891, p. 182;F. Ramorino, Cornelio Tacito nella storia della cultura, Firenze 1898, pp. 34 s.; B. Croce, Saggi sulla letteraturaitaliana del Seicento, Bari 1911, pp. 386, 412ss.; dello stesso si veda anche Lirici marinisti, Bari 1910, pp. 300, 302, che raccoglie alcuni versi del B., e la cit. Politici e moralisti del Seicento, con la nota biografica relativa al B. di S. Caramella alle pp. 303-306;M. De Marinis, A. G. B. S.e i suoi tempi, Genova 1914; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1929, pp. 88 ss.;S. Bertelli, Storiografi,eruditi,antiquari politici, in Storia dellaletteratura italiana, a cura di E. Cecchi e N. Sapegno, V, Milano 1967, pp. 399 s.; L. Bitner-L. Gross, Repertorium der diplomat. Vertreter, I, Berlin 1936, pp. 247, 250.
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