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sabato 2 luglio 2011

Voltri. Vedute e Beni Culturali. Monumento Giovanni Lerda. 001. Foto di Giovanni Pititto.

Beni Culturali in Voltri. Foto di Giovanni Pititto.





Beni Culturali in Voltri. 003.

003. Monumento a Giovanni Lerda. Particolare.

004. Monumento a Giovanni Lerda. Particolare.

005. Monumento a Giovanni Lerda. Particolare.




http://parzifalpurissimo.blogspot.com/ - a cura di Giovanni Pititto
(E-mail:
parzifal.purissimo@gmail.com)





001. Monumento a Giovanni Lerda. Insieme. Bronzo su pietra.


001. 1. Monumento a Giovanni Lerda. Busto. Bronzo.


001. 2. Monumento a Giovanni Lerda. Festone. Bronzo.


001. 3. Monumento a Giovanni Lerda. Epigrafe. Bronzo.
GIOVANNI LERDA / EDUCATORE E PROPULSORE / DI FOLLE. 1853-1926.// (Trascrizione di GP)

Dolci Presenze del Viandante seguono l'Ombra in questo Silenzio popolato di Assenza.

Viaggiare. Dentro. Fuori.
Occhi. Lago di Nuvole.


Voltri. Beni Culturali. Foto di Giovanni Pititto.
001. Voltri. Monumento Giovanni Lerda. Insieme, veduta anteriore. Bronzo.


004. Voltri. Monumento Giovanni Lerda. Veduta laterale.

Ved. anche:


005-008. Voltri. Piazza Giovanni Lerda e adiacenze. Vedute.








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http://waldganger-ganzfeld-losfeld.blogspot.com/
http://parzifalpurissimo.blogspot.com/

- a cura di Giovanni Pititto
(E-mail:
parzifal.purissimo@gmail.com)





*La foto di Volto Femminile di cui in apertura non è del Curatore o dei Collaboratori.







NOTE
Da F. Conti (ved. sotto) se ne desumerebbe che la data di morte di cui all'epigrafe è errata: "Sottoposto a stretta sorveglianza da parte della polizia e perseguitato dalle squadre fasciste, nel marzo 1927 si trasferì a Torino. Qui morì il 16 maggio seguente, mentre stava progettando la fuga all'estero."

APPARATI
1. F. CONTI, Giovanni Lerda, in: Dizionario Biografico degli Italiani. 
LERDA, Giovanni. - Nacque a Fenestrelle, presso Pinerolo, il 29 sett. 1853 da Bartolomeo e Natalina Taro.
All'età di tredici anni le condizioni di difficoltà in cui venne a trovarsi la famiglia per la morte del padre lo costrinsero ad abbandonare gli studi. Trovò allora lavoro a Torino dapprima in una libreria, quindi presso la casa editrice Bocca, in cui entrò come semplice impiegato, divenendone direttore nel 1880.
L'attività editoriale lo mise in contatto con gli ambienti più vivaci del mondo intellettuale torinese, in specie con il nucleo di scienziati, medici, antropologi che fecero della città subalpina uno fra i maggiori centri di diffusione in Italia del positivismo e del materialismo evoluzionistico. Estimatore in particolare della scuola lombrosiana, partecipò al primo congresso internazionale di antropologia criminale che si tenne a Roma nel 1885 e collaborò alla rivista di C. Lombroso, Archivio di psichiatria, antropologia criminalee scienze penali.
La frequentazione di tale milieu culturale, permeato di un'etica laica che sovente sconfinava nell'anticlericalismo, ebbe un ruolo decisivo nella formazione politica del L., favorendone l'avvicinamento sia al nascente movimento socialista sia alla massoneria. Così fra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta prese a collaborare ad alcuni periodici di orientamento anarchico e socialista, come Proximus tuus e La questione sociale. Nell'aprile 1891 fondò con P. Schiaparelli il giornale Ventesimo secolo, organo di quella Lega democratico-sociale, che costituì l'embrione della prima sezione torinese del Partito dei lavoratori, di cui fu candidato alle elezioni politiche del 1892.
La sua adesione alla massoneria risale invece presumibilmente al 1884, quando fu affiliato nella loggia
Dante Alighieri di Torino, dando inizio a una militanza all'interno del Grande Oriente d'Italia che non
conobbe mai interruzione. Nel 1914, infatti, allorché il congresso socialista di Ancona dichiarò incompatibile l'appartenenza alla massoneria per gli iscritti al partito, il L. preferì abbandonare quest'ultimo, di cui nel frattempo era divenuto uno dei maggiori dirigenti nazionali.
Nel 1893 si trasferì a Genova, dove insieme con G. Ricci rilevò la proprietà della libreria Moderna e avviò un'intensa attività di propaganda degli ideali socialisti, fondando nel marzo 1894 il giornale Era nuova e collaborando al Secolo XIX. A partire dal 1893 fu candidato dai socialisti nel collegio di Voltri, dove si ripresentò sistematicamente in tutte le elezioni politiche successive dal 1895 al 1913, risultando sempre sconfitto, ma vedendo crescere progressivamente i suffragi in suo favore: dai 470 del 1893 ai 6800 del 1913. Nel 1894 partecipò al primo congresso socialista ligure, svolgendo una relazione sul tema "L'azione socialista nella conquista dei comuni" e pronunciandosi a favore del decentramento amministrativo. Al quarto congresso regionale, tenutosi a Genova nell'aprile 1896, si fece promotore di un'indagine statistica sulle condizioni materiali di vita dei lavoratori, di cui condensò poi i risultati nell'opuscolo Perché gli operai sono poveri (Genova 1896). La pubblicazione, immediatamente sequestrata dalle forze dell'ordine, gli costò una condanna a quattro mesi e mezzo di carcere, poi ridotta in appello e definitivamente amnistiata nell'ottobre 1896.
Non fu questa la sola misura di polizia di cui il L. fu fatto oggetto in questo periodo per la sua opera di
pubblicista e di conferenziere: già proposto nel settembre 1895 per il domicilio coatto dalla questura di
Genova (la richiesta fu però respinta dalle autorità competenti), nel luglio 1897 fu di nuovo denunciato per "eccitamento all'odio di classe" e condannato a tre mesi, poi amnistiati.
L'intensificarsi delle forme di sorveglianza e dei provvedimenti repressivi nei suoi confronti andò di pari passo con la crescita del suo ruolo nel movimento socialista italiano e internazionale. Nell'aprile 1896 entrò a far parte del comitato regionale ligure del Partito socialista e nel febbraio 1898 divenne membro di quello nazionale, carica che nel maggio seguente, al momento della proclamazione dello stato d'assedio per i fatti di Milano, lo costrinse a emigrare clandestinamente in Svizzera, dove visse fino all'aprile 1899. Ma soprattutto contribuirono a farne crescere la fama e l'autorevolezza i rapporti di collaborazione che egli instaurò, anche grazie ai contatti garantitigli dalla sua compagna Oda Olberg, con alcune riviste socialiste europee. Fin dal 1896 egli svolse infatti attività di corrispondente per il Sozialistische Akademiker, i Sozialistische Monatshefte, la Neue Zeit e Le Devenir social. Notevole eco, almeno a livello internazionale, ebbe fra il 1896 e il 1897 la sua polemica con E. Bernstein nella Neue Zeit, che gli servì per mettere a punto, in opposizione alle tesi revisionistiche dell'esponente tedesco, una visione intransigente dell'ortodossia socialista, volta a difendere l'unità della classe operaia da ogni pericolosa contaminazione col paternalismo delle classi dirigenti borghesi. Il L. venne meglio precisando queste sue posizioni negli anni successivi, quando prese parte attiva alla lotta politica fra le diverse componenti del partito socialista, nella cui direzione nazionale entrò nel novembre 1900 per restarvi fino al 1906. Al congresso di Imola del settembre 1902 svolse la relazione sull'organizzazione politica del Partito socialista italiano (PSI) e votò insieme con A. Labriola in favore dell'ordine del giorno presentato da E. Ferri, che coagulò l'opposizione di sinistra, ancora minoritaria, al riformismo turatiano.
Con Ferri nacque una stretta collaborazione, che divenne ancora più solida alla fine del 1902 dopo il
trasferimento a Roma, dove il L., che dall'agosto 1902 scriveva per Il Martello di Sestri Ponente, entrò nella redazione della rivista ferriana Il Socialismo divenendone nel dicembre 1903 redattore capo. Proprio in rappresentanza del gruppo di Ferri, uscito vincitore dal congresso di Bologna dell'aprile 1904, egli fu confermato nella direzione nazionale del PSI. Tuttavia la successiva dispersione della composita maggioranza rivoluzionaria formatasi nel 1904 e la nascita di una corrente integralista guidata da O. Morgari e Ferri indussero il L. a dar vita a un gruppo autonomo di cosiddetti "intransigenti", che al congresso di Roma del 1906 presentò un ordine del giorno, su cui confluirono 1161 voti. In esso si ribadiva la fede nel principio della lotta di classe, differenziandosi dai sindacalisti rivoluzionari per la difesa esplicita del ruolo del partito accanto alle organizzazioni economiche di resistenza, si respingeva ogni ipotesi di ministerialismo, adombrata in certe affermazioni degli integralisti ferriani, e si indicava la funzione prioritaria svolta dalla "educazione socialista delle masse".
Il L., che nel 1907 fu inviato dalla direzione del PSI nel Canton Ticino per dirimere alcune questioni insorte fra le organizzazioni socialiste locali, divenne il leader riconosciuto del raggruppamento intransigente, che, pur privo di una struttura permanente e di un organo di stampa di riferimento, consolidò le proprie posizioni e al congresso di Firenze del settembre 1908 raccolse quasi un quinto dei voti. In vista del congresso di Milano dell'ottobre 1910 fu tra i promotori di un coordinamento dei vari gruppi intransigenti-rivoluzionari, che portò alla costituzione di una frazione organizzata, diretta da una commissione esecutiva, con delegati in tutte le province e dotata dal maggio 1911 di un organo ufficiale, La Soffitta, di cui il L. fu direttore insieme con C. Lazzari. Non a caso un attento osservatore delle vicende politiche del tempo come N. Colajanni definì "lerdismo" la corrente intransigente del PSI (I partiti politici in Italia, Roma 1912, p. 102).
Il L., che già nel 1893 in un articolo apparso nella Critica sociale aveva fatto esplicita professione di
antimilitarismo, fu decisamente contrario alla guerra di Libia. Egli vi intravide un momento di svolta della politica estera giolittiana, che giudicò in parte il risultato dei processi di concentrazione industriale in atto nel Paese e in parte il tentativo, seppur tardivo, dell'Italia, di inserirsi nelle competizioni capitalistiche internazionali.
In una serie di lucidi articoli apparsi fra il 1911 e il 1912 sottolineò inoltre l'inevitabilità di una prossima grande guerra europea e i limiti della seconda Internazionale, ritenuta non in grado di opporvisi. Al congresso di Reggio Emilia del 1912 il L. si dichiarò perciò a favore dell'espulsione dal partito dei riformisti di destra filotripolini, mentre auspicò una nuova maggioranza che includesse anche i riformisti di sinistra. Il congresso, fra l'altro, approvò un suo ordine del giorno, nel quale, in vista delle prossime elezioni politiche, pur affermando la necessità di seguire il metodo intransigente e di presentare candidature socialiste in tutti i collegi, si lasciava alla direzione la facoltà di autorizzare gli iscritti a votare nei ballottaggi per i candidati dei partiti affini.
L'approvazione a Reggio Emilia di un ordine del giorno contro la massoneria lo indusse a rassegnare
immediatamente le dimissioni dal PSI, che il congresso però con voto unanime respinse. La definitiva
uscita dal partito del L., cui nel luglio 1912 fu persino offerta la direzione dell'Avanti!, da lui rifiutata, si concretizzò dopo il congresso di Ancona del 1914. Posto di fronte a una secca alternativa, come si è visto, egli optò per la permanenza nel Grande Oriente d'Italia, che di lì a poco lo chiamò a far parte della propria giunta esecutiva, confermandolo in tale carica anche nel 1919 sotto la gran maestranza di E. Nathan.
L'appartenenza alla massoneria ebbe poi probabilmente un certo peso nel suo progressivo allinearsi su
posizioni interventiste, che contribuì a farne uno dei punti di riferimento dei gruppi socialisti dissidenti. Di uno di essi, avente sede a Milano, fu nominato segretario nel gennaio 1917, mentre nel febbraio seguente fu eletto insieme con B. Mussolini per rappresentare tale movimento al congresso dei partiti socialisti dei paesi dell'Intesa, che avrebbe dovuto svolgersi a Parigi e non ebbe più luogo per il precipitare delle vicende belliche e, in particolare, di quelle russe.
Una fonte di polizia del marzo 1917, che non ha però altri riscontri, lo indicava come possibile tramite di finanziamenti versati dalla massoneria a favore del Popolo d'Italia di Mussolini. Ben documentati sono invece il suo intervento al congresso del Partito socialista riformista, tenutosi a Roma nell'aprile 1917, e, nel giugno successivo, il suo viaggio in Russia con A. Labriola, I. Cappa e O. Raimondo per caldeggiare la continuazione della guerra da parte della Russia a fianco dell'Intesa.
Nel maggio 1918 il L. fu tra i fondatori dell'Unione socialista italiana, in cui confluirono molti elementi dell'interventismo di sinistra, e nell'agosto 1918 entrò a far parte della sua direzione centrale. Dopo esser stato candidato alle elezioni politiche del novembre 1919 a Genova nelle fila del Partito del lavoro e dopo aver duramente polemizzato durante il "biennio rosso" contro il velleitarismo massimalista, concluse il suo percorso politico aderendo nel 1922 al Partito socialista unitario. Anzi a tale partito affittò una parte della propria casa romana, nella quale posero la propria sede anche alcune organizzazioni sindacali e la redazione del giornale La Giustizia.
Sottoposto a stretta sorveglianza da parte della polizia e perseguitato dalle squadre fasciste, nel marzo 1927 si trasferì a Torino. Qui morì il 16 maggio seguente, mentre stava progettando la fuga all'estero.

Opere. Oltre agli innumerevoli articoli disseminati in giornali e riviste, si rammentino:
Il socialismo e la sua tattica, Genova 1897;
Influenza del cristianesimo sulla economia, Milano 1898;
Gli italiani all'estero, Genova 1900;
Sull'organizzazione politica del Partito socialista italiano, Imola 1902;
Appoggio ad indirizzi di governo e partecipazione al potere, Roma 1910;
Elezioni generali politiche: programma e tattica del partito, ibid. 1912.

Fonti e Bibl.
L'indicazione delle fonti d'archivio e dei principali studi sul L. apparsi fino al 1969 si trova nella voce redatta da M. Degl'Innocenti in Il movimento operaio italiano. Diz. biografico, 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, Roma 1977, III, pp. 101-109. Oltre a Lavoro nuovo, 24 ag. 1952 e C. Finale, Gli anni genovesi di G. L. e la polemica con Bernstein, in Movimento operaio e socialista, VIII (1962), 1, pp. 35-59, occorre integrare la bibliografia almeno con:
G. Lombroso Ferrero, C. Lombroso.
Storia della vita e delle opere, Bologna 1921, pp. 249, 317;
R. Colapietra, L. Bissolati, Milano 1958, pp. 18, 60, 70-72, 91, 113, 137, 153 s., 166, 178, 180, 190, 248, 253;
R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920, Torino 1965, pp. 96, 115, 117 s., 125-127, 133, 191, 343, 355.
Fra le opere più recenti:
D. Marucco, A. Labriola e il sindacalismo rivoluzionario italiano in Italia, Torino 1970, pp. 82, 84,
236, 238 s., 243, 247;
P. Spriano, Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci, Torino 1972, pp. 22 s., 26, 34, 223;
M. Degl'Innocenti, Il socialismo italiano e la guerra di Libia, Roma 1976, ad ind.;
L. Mangoni, Una crisi di fine secolo. La cultura italiana e la Francia fra Otto e Novecento, Torino
1981, pp. 134, 151;
M. Degl'Innocenti, Geografia e istituzioni del socialismo italiano, 1892-1914, Napoli 1983, pp. 28, 119, 232 s., 236 s., 243;
G. Oliva, Esercito, paese e movimento operaio. L'antimilitarismo dal 1861 all'età giolittiana, Milano 1986, pp. 123, 125, 128;
A. Casali, C. Treves. Dalla giovinezza torinese alla guerra di Libia, Milano 1989, pp. 48, 52, 91, 150, 174, 186, 244, 299, 314;
A.A. Mola, Da quale Oriente sorse, nel Piemonte del 1892, il "sol dell'avvenire"?, in Studi piemontesi, XXI (1992), 1, pp. 73 s.; Id.,
Storia della massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano 1992, pp. 368, 371, 383, 385, 388,
430, 478;
M. Ridolfi, Il PSI e la nascita del partito di massa, 1892-1922, Roma-Bari 1992, pp. 17, 19 s., 52, 126, 138, 172, 178, 185, 213, 215;
Z. Ciuffoletti, Storia del PSI, I, Le origini e l'età giolittiana, Roma-Bari 1992, ad ind.;
L. Garibbo, I ceti dirigenti tra età liberale e fascismo, in Storia d'Italia (Einaudi),
Le regioni dall'Unità a oggi. La Liguria, a cura di A. Gibelli - P. Rugafiori, Torino 1994, pp. 237 s., 241;
M. Scavino, Con la penna e con la lima. Operai e intellettuali nella nascita del socialismo torinese (1889-1893), Torino 1999, ad ind.;
M. Pignotti, Notabili, candidati, elezioni. Lotta municipale e politica nella Liguria giolittiana, Milano 2001, ad ind.;
F. Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna 2003, pp. 216, 219, 223, 238, 242, 255, 412, 418;
D. Frigessi, C. Lombroso, Torino 2003, p. 265."


2. Antimassoneria marxista(testo da un articolo di Marco Novarino su “Massoneria Oggi”, Anno V n. 3 Giu/Lug 1998)
Nell'ampio arco dei movimenti e delle istituzioni politiche, sociali e religiose che si opposero alla massoneria speculativa a partire dalla sua nascita, l'antimassoneria dei movimenti socialista e comunista rappresentò una parte minoritaria se confrontata con la conflittualità della Chiesa cattolica e della destra fascista.
L'antimassoneria di sinistra, fino al secondo dopoguerra, nasceva dalla convinzione che la natura interclassista della massoneria nuocesse alla causa del proletariato e che pertanto dovesse essere contemplata l'incompatibilità tra socialisti e massoni.
La proposta venne regolarmente fatta in tutti i congressi dei Partito socialista a partire dal 1904.
Dopo che la questione non era stata discussa nel congresso del 1905, per mancanza di tempo, la direzione del PSI promosse un referendum per conoscere se la qualifica di massone costituisse "per un socialista uno di quei casi di indegnità morale e politica che, secondo lo Statuto, portano all'espulsione dal partito" 1 . I promotori del referendum non ottennero i risultati sperati. Il numero degli astenuti fu altissimo e su 37.921 iscritti solo 9.163 si pronunciarono per l'espulsione malgrado l'aperto sostegno del quotidiano l'Avanti! che conduceva da due anni una spietata polemica ritenendo la loggia "la chiesa della speculazione borghese e dell'avventurismo democratico borghese. È necessario - proseguiva il giornale socialista - votare per l'esclusione dell'elemento massonico dal partito e per l'intimazione ai compagni che sono massoni di dimettersi: o di qua o di là" 2 . In questa fase si distinse particolarmente un ex-massone, Paolo Orano, che raccolse i suoi scritti in un opuscolo intitolato La massoneria dinanzi al socialismo e che ritroveremo vent'anni dopo, a fianco di Mussolini, come intellettuale di punta del fascismo e convinto antisemita. La polemica antimassonica riprese durante l'XI congresso, tenutosi a Milano nel 1910, quando un delegato ripropose il problema dell'incompatibilità trovando l'appoggio del delegato della federazione di Forlì, Benito Mussolini, di Gaetano Salvemini e le nette opposizioni di esponenti come Podrecca, Modigliani e Lerda.
La mozione, grazie alla mediazione di Filippo Turati, si risolse con un nulla di fatto , ma il problema rimase latente e riesplose puntualmente in occasione del XIII Congresso che si tenne a Modena nel 1913. La polemica venne ripresa ancora una volta da Mussolini che appoggiò un ordine del giorno in cui si chiedeva che la massoneria fosse contrastata perché portatrice di quella "politica bloccarda nella quale si deformano i caratteri specifici dei partiti politici" 3 .
La mozione dopo lunghe discussioni non venne messa ai voti e trovò un ostinato oppositore in Giovanni Lerda.
Quest'ultimo, brillante dirigente torinese, rassegnò le dimissioni (in seguito ritirate) per protesta. Il massone Lerda, principale candidato prima del congresso alla carica di segretario del PSI, dopo questo
episodio non venne eletto, pagando pesantemente la sua coerenza.
La battaglia antimassonica raggiunse il suo apice in occasione del XIV Congresso che si tenne ad Ancona nel 1914. In quella assise vennero presentate due mozioni di segno opposto: una presentata da Giovanni Zibordi, in cui si chiedeva di sancire l'incompatibilità tra socialismo e massoneria e l'altra, presentata da Alfredo Poggi, in senso contrario.
Secondo Zibordi, "Noi combattiamo la Massoneria per la sua funzione attuale che reputiamo perniciosa per l'educazione socialista. Il socialista che militando nella Massoneria si illude di raggiungere più presto i suoi fini sociali, rischia di trovarsi accanto, nella Loggia, colui che nell'aperta arena dei conflitti economici o politici, troverà contro di sé, del proprio partito, del proletariato. Noi domandiamo se possa un cittadino tenersi legato a due discipline di istituzioni distinte, diverse ed avverse, senza sentirsi in grande conflitto fra la coscienza di socialista e la coscienza di massone. Il socialismo segue la sua strada e sale al meriggio, mentre la Massoneria tramonta e si allontana, per avere esaurito la sua funzione, dai primi ideali".
A questa presa di posizione rispondeva Poggi che ribatteva affermando che i principi socialisti e massonici avevano la stessa matrice e rifiutando la tesi dei massimalisti, secondo cui l'istituzione libero-muratoria era un partito. E ciò, secondo Poggi, in quanto essa "non da oggi, ma da anni accoglie i suoi militi da ogni partito senza riconoscere fra loro differenze di origine, di classi, di credenze e di condizioni sociali. Che se vi fosse qualche socialista il quale trovandosi nella Loggia massonica a contatto con avversari sentisse smorzarsi in animo l'impeto della lotta o attenuarsi la fierezza dei principi di classe, costui dovrebbe incolpare non la influenza massonica, ma la debolezza della sua coscienza".
La mozione di Zibordi, che invitava genericamente i socialisti iscritti alla massoneria a uscirne e dichiarava incompatibile per i socialisti di aderirvi, venne appoggiata da Mussolini, direttore dell'Avanti! e di fatto leader del partito, e integrata con un emendamento che invitava le sezioni del partito ad attuare l'immediata espulsione dei socialisti-massoni. Questa mozione così emendata ottenne 27.378 voti su un totale di 34.152, mentre la mozione di Poggi ebbe la fiducia di 1.819 votanti. Altre due mozioni presentate da Giacomo Matteotti, favorevole all'incompatibilità ma formulata in termini meno perentori di quella di Mussolini per "evitare processi inquisitoriali ed eventualmente delle espulsioni su semplici sospetti" 4 e da Montanari, che chiedeva il disinteressamento della questione, ottennero rispettivamente 2.296 e 2.485 voti.
L'antimassonismo della corrente massimalista si trasferì in toto nel Partito comunista d'Italia (PCd'I)ato da una scissione a sinistra del PSI.
Essendo il PCd'I una sezione dell'Internazionale Comunista (o Terza internazionale) fin dalla sua formazione, seguì fedelmente la politica stabilita a Mosca.
Il movimento socialista internazionale, unito dal punto di vista organizzativo nella II Internazionale, aveva subìto una grave crisi con lo scoppio della I guerra mondiale. Il dissidio tra l'ala sinistra, rivoluzionaria, e l'ala destra, riformista, si era aggravata fino alla totale separazione delle due componenti. Nel marzo del 1919, preceduto da un documento di Leone Trotsky dal titolo "Sul Congresso dell'Internazionale Comunista", nasceva a Mosca la III Internazionale.
L'Internazionale non era solo un organismo di collegamento tra i partiti nazionali, come era stata la II Internazionale, ma era una struttura gerarchicamente centralizzata che stabiliva la strategia dell'intero movimento comunista imponendo ad ogni partito membro i compiti necessari per sviluppare e consolidare la rivoluzione mondiale.
Per tanto le direttive, anche quelle specifiche per i vari partiti nazionali, avevano valore vincolante per l'intero movimento.
Nel primo Congresso, che si tenne a Mosca nel marzo del 1919, la questione "Massoneria" non venne discussa. Ma già nel secondo, che incominciò a Pietrogrado e proseguì a Mosca nell'agosto 1920, la delegazione italiana del Partito Socialista Italiano presentò ufficialmente il problema che era stato uno dei cavalli di battaglia della corrente massimalista fin dal congresso dei 1904.
I delegati italiani tentarono di inserire come clausola per l'ammissione all'Internazionale Comunista dei partiti rivoluzionari l'epurazione dei massoni dal loro interno. Nella seduta del 29 luglio della commissione per l'elaborazione delle condizioni di ammissione all'Internazionale Comunista i delegati italiani annunciarono di aver presentato una mozione che obbligava i partiti aderenti all'Internazionale ad escludere dalle proprie fila gli appartenenti alla massoneria ritenuta come una organizzazione piccoloborghese. Essendo stata presentata come mozione e non come punto programmatico, la richiesta non comparve nella stesura finale del documento che fissava i ventun punti d'ammissione. La mancata inclusione dipese non solo da un cavillo procedurale ma anche dal fatto che l'assise comunista riteneva ovvia, visti i principi inconciliabili tra massoneria e comunismo, l'esclusione dei massoni.
Se durante il secondo congresso la richiesta d'epurazione dei massoni fu ritenuta ovvia, in occasione del terzo congresso la situazione peggiorò, tanto che Trotsky, all'epoca l'esponente di maggior peso dopo Lenin in seno all'Internazionale, nel corso delle assisi congressuali propose che l'adesione fosse proibita ufficialmente a tutti i membri del partito. Secondo Trotsky lo spirito borghese, la ritualità e la segretezza massonica rappresentavano un grave pericolo per l'azione rivoluzionaria e pertanto non erano ammissibili dalla dittatura del proletariato. La solidarietà "principio basico della massoneria, costituisce un serio ostacolo per l'azione rivoluzionaria. La massoneria rappresenta una grande forza sociale e per le sue riunioni segrete e la discrezione assoluta dei suoi membri rappresenta una specie di stato nello stato" 5 .
Le direttive di Trotsky furono approvate dal Congresso e di conseguenza tutti i partiti aderenti proibirono ai loro membri di affiliarsi alle logge massoniche.
Da questo momento Trotsky divenne il più accanito avversario della massoneria: tutti gli scritti e le risoluzioni antimassoniche adottate dall'Internazionale Comunista provenivano direttamente dalla sua penna.
Prendendo spunto dalla crisi del Partito Comunista francese, in occasione del IV Congresso che si tenne a Mosca nel novembre del 1922, il rivoluzionario russo risollevò il problema dell'incompatibilità, fissando questa volta precise direttive e scadenze improrogabili.
Alla luce della notizia secondo cui, malgrado il distacco dell'ala riformista, un ragguardevole numero di comunisti francesi apparteneva alle logge massoniche, veniva intimato specificatamente al comitato direttivo del Partito Comunista Francese, ma di fatto a tutti i partiti comunisti e in particolare a quello spagnolo e italiano, di recidere ogni contatto, individuale o di gruppo, con la massoneria entro il 1° gennaio 1923 e di espellere dal partito, entro la medesima data, i militanti che non avessero attraverso la stampa del partito comunicato la loro completa rottura con le Obbedienze massoniche.
Una speciale commissione composta dai maggiori dirigenti comunisti, tra cui Trotsky, Zinoviev e Bucharin, redasse una articolata risoluzione sulla questione francese, comprendente una dichiarazione d'incompatibilità tra massoneria e comunismo, che fu approvata dall'assemblea congressuale con due voti contrari e una astensione.
La risoluzione fu preceduta da un discorso di Trotsky comprendente uno specifico capitolo sulla massoneria 6 . Per Trotsky la massoneria era una questione nuova che si poneva agli occhi stupiti dei congressisti i quali non sospettavano, dato che la stampa comunista francese non ne aveva mai parlato, che, a distanza di due anni dal congresso di Tours, ci fossero ancora dei massoni all'interno del partito.
Un comunista, continuava l'oratore, non poteva appartenere a una organizzazione che era uno strumento della borghesia radicalizzante per "masquer son entreprise réactionnaire, sa mesquinerie, la perfidie dans les idées, l'esprit, le programme" 7 . L'Internazionale, secondo Trotsky, aveva ordinato al partito di creare un abisso con la classe borghese ma questo abisso non era stato creato: esistevano infatti passerelle, nascoste e mascherate, che permettevano contatti costanti.
Queste passerelle erano la massoneria e la Lega dei diritti dell'uomo e dei cittadini che permettevano contatti con le istituzioni del partito, la redazione del giornale, il comitato direttivo, il comitato federale. Un militante comunista non poteva condannare la società borghese corrotta e poi abbracciare, nelle logge massoniche, i suoi rappresentanti. I comunisti dovevano "affirmer l'incompatibilité complète et absolue, implacable, entre l'esprit révolutionnaire et l'esprit de la petite bourgeoisie maçonnique, instrument de la grande bourgeoisie!" 8 . Questa perentoria dichiarazione suscitò, secondo il resoconto stenografico dell'assemblea, gli applausi dei congressisti.
Le argomentazioni di Trotsky, pronunciate durante il IV Congresso, ottennero larga eco sulla stampa comunista internazionale. Il suo articolo "La massoneria forza controrivoluzionaria" venne pubblicato da varie riviste comuniste e dal quotidiano italiano socialista l'Avanti!.
In questo articolo, riprendendo i temi antimassonici di carrierismo, servilismo piccolo borghese, radicalismo e infiltrazione nel campo rivoluzionario presentati nelle assise congressuali, Trotsky concludeva che il problema era stato sottovalutato e non si poteva permettere che si prolungasse o addirittura si sviluppasse. La questione massonica era stata sottovalutata dai precedenti congressi dell'Internazionale in tal modo egli riconosceva alla delegazione italiana al II Congresso una visione lungimirante.
Anche se la richiesta d'espulsione dei massoni rientrava nel piano di bolscevizzazione dei partiti comunisti da parte dell'Internazionale, la questione della presenza di militanti e dirigenti comunisti iniziati nella massoneria era reale e con dimensioni sconosciute in altri paesi. Durante il congresso di Tours del 1920 la Sezione Francese dell'Internazionale operaia (il Partito socialista francese) si divise. La minoranza rimase, secondo una espressione di Leon Blum, nella "Vecchia casa" mentre la maggioranza guidata dal massone Marcel Cachin e da Ludovic Oscar Frossard diede vita alla Sezione francese dell'Internazionale Comunista che nel maggio del 1921 assunse il nome di Partito comunista francese. Vari massoni socialisti, o futuri massoni come Frossard, aderirono al nuovo Partito e ricoprirono incarichi dirigenti di primo piano. Nel primo Comitato direttivo, istanza suprema del partito, figuravano L.O. Frossard, segretario; M. Cachin, direttore dell'organo centrale "L'Humanité", il glorioso quotidiano fondato da Jean Jaurès e acquisito per merito del vecchio massone e comunardo Camélinat che deteneva la maggioranza delle azioni del giornale essendo tesoriere della SFIO; Antonio Coen, futuro Gran Maestro della Gran Loggia di Francia; Louis Antoine Ker e Victor Méric. Malgrado la massiccia adesione ma soprattutto il ruolo dirigente assunto da vari massoni il Comitato Direttivo accolse le istruzioni di Mosca di risolvere la questione entro il 1° gennaio 1923. La mancata pubblica rottura con la Massoneria comportava l'immediata espulsione senza il diritto di aderire mai più in futuro. Il nascondere l'appartenenza a una loggia massonica era considerata come un atto deliberato di penetrazione all'interno del partito da parte di un agente nemico ed esponeva l'individuo all'accusa d'ignominia davanti al proletariato. Però anche la rottura con la massoneria non significava assoluzione completa dato che il fatto di essere stato massone rivelava uno sviluppo insufficiente della coscienza comunista e della dignità di classe. Il "peccato originale" provocava la sospensione per due anni da qualunque incarico dirigente.
Le decisioni di Mosca provocarono un vero e proprio terremoto. L'adesione incondizionata della maggioranza del partito alle risoluzioni approvate dall'Internazionale Comunista delegittimarono le funzioni del segretario L.O. Frossard, contrario al nuovo indirizzo politico, che si dimise unitamente ad Antoine Coen. Altri come i giornalisti Henry Torrès, Georges Pioch, Victor Méric, Bernard Lecache, il deputato Charles Lussy e il sindaco di Boulogne-sur-Seine, André Morizet, tentarono di creare all'interno del partito, insieme a un centinaio di quadri intellettuali, un "Comitato di resistenza" ma vennero a loro volta espulsi. Louis-Antoine Ker darà le dimissioni dalla Massoneria ma sarà ugualmente escluso dalla direzione.
Con l'esclusione dei massoni iniziava la cosiddetta "bolscevizzazione" intesa come assimilazione e adattamento alle situazioni peculiari di ogni singolo paese dei principi e dell'esperienza dei bolscevichi russi. Dopo il Quarto congresso la questione massoneria non venne più affrontata dall'Internazionale Comunista.
Prima in Unione Sovietica e in seguito nei paesi del cosiddetto "socialismo reale", eccetto che a Cuba, la massoneria venne messa fuori legge e perseguitata come organizzazione controrivoluzionaria.
In Italia nel secondo dopoguerra continuò l'opposizione dei partiti d'ispirazione marxista nei confronti della massoneria, anche se cambiarono le motivazioni. Dal 1945 per il PCI la massoneria non era pericolosa in quanto portatrice di valori borghesi e interclassisti in seno alla classe operaia ma perché era diventata un centro di potere occulto fortemente manovrato dagli americani. L'atteggiamento della diplomazia statunitense a favore della ricostruzione della libero-muratoria italiana nell'immediato dopoguerra fornì elementi a favore della polemica antimassonica del PCI e della stampa comunista che pubblicò elenchi di fratelli e promosse indagini tra i dipendenti pubblici con l'esplicito scopo d'impedire l'accesso alle cariche pubbliche ai massoni.
Il PCI ha sempre mantenuto la clausola dell'incompatibilità nel suo statuto e a quanto pare, anche il PDS sarebbe sulla medesima linea.
1. F. CORDOVA, Massoneria e politica in Italia, Bari, 1985, p. 229.
2. Il referendum sulla massoneria, in "Avanti!", 21 giugno 1905.
3. C. CASTELLACCI, Le polemiche nei partiti socialisti, in "Critica sociale", 1977, n. 10, p. 20.
4. R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, Torino, 1965, p. 191.
5. J. A. FERRER BENIMELI, El contubernio judeo-masónico-comunista, Madrid, Istmo, 1982, p. 217.
6. Testo del Rapport au 4ème Congrès Mondial, pubblicato in "Bulletin communiste", n. 2-3, 1923. Ora anche in L. TROTSKY, Mouvement communiste en France, Paris, Ed. de Minuit, 1967, pp. 250-54.
7. L. TROTSKY, Le mouvement communiste en France, cit., p. 250.
8. Ivi, p. 251

3. "Editoria a Genova. Librerie e librai anteguerra In Galleria Mazzini, sede della Fiera del Libro (nacque nel 1926[12]), esisteva da tempo una celebre libreria, la Libreria Editrice Moderna, gestita dal libraio-editore Giovanni Ricci. La Libreria, nata sul finire dell’Ottocento era frequentata non solo da studenti ma anche da letterati che avevano formato una specie di salotto letterario in cui si presentavano anche libri e riviste. La libreria, in cinquant’anni di vita, ebbe pochi cambiamenti[13]). Il ragionier Giovanni Ricci[14]), con il suo accento della Riviera di Ponente, sempre vestito di nero, cravatta nera, «barba nera» e ispida, occhiali cerchiati di acciaio che continuamente ripuliva, era famoso per vendere a credito a giovani e a poeti squattrinati. Inoltre non si curava né dei «cleptomani» né dei semplici ladri; era sua cura cercare di recuperare la refurtiva senza grande scandalo. «Non nuotava nell’oro» e quindi talvolta si faceva prendere dell’ira ma subito dopo lo prendeva la «compassione» e dimenticava. «Fu anche editore». Si ricordano i libri di filosofia del professor Asturaro, il celebre libro di Enrico Ferri sui Delinquenti nell’arte e alcuni opuscoli sociologici curati da Giovanni Lerda [15]).
15. «per un certo periodo di tempo suo socio in casa editrice» Dizionario delle strade di Genova, Tolozzi, 1973, vol. 3, pag. 924-25)."
[da: Editoria a Genova, http://it.wikipedia.org/wiki/Editoria]



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