domenica 20 febbraio 2011

Ravenna. Tullio Lombardo. Guidarello Guidarelli.

Tullio Lombardo. Guidarello Guidarelli. Ravenna. 


Tullio Lombardo, Monumento a Guidarello Guidarelli, Gisant. Ravenna.




Tullio Lombardo, Monumento a Guidarello Guidarelli, Gisant. Ravenna.




Dormi, Guidarello, il Grande tuo Sonno
nella Città degli Ori Antichi
ora di te resa Silente.

Ravenna, glauca notte rutilante d’oro,
sepolcro di violenti custodito
da terribili sguardi,
cupa carena grave d’un incarco
imperiale, ferrea, construtta
di quel ferro onde il Fato
è invincibile, spinta dal naufragio
ai confini del mondo,
sopra la riva estrema!

Ti loderò pel funebre tesoro
ove ogni orgoglio lascia un diadema.
Ti loderò pel mistico presagio
che è nella tua selva quando trema,
che è nella selvaggia febbre in che tu ardi.
O prisca, un altro eroe renderà l’arco
dal tuo deserto verso l’infinito.
O testimone, un altro eroe farà di tutta
la tua sapienza il suo poema.

Ascolterà nel tuo profondo
sepolcro il Mare, cui ’l Tempo rapì quel lito
che da lui t’allontana; ascolterà il grido
dello sparviere, e il rombo
della procella, ed ogni disperato
gemito della selva.
«È tardi! È tardi!»
Solo si partirà dal tuo sepolcro
per vincer solo il furibondo
Mare e il ferreo Fato.
(2)




Un'onta ti rapì. (3)
Avesti tu chi del vibrante affetto te ne reggèa la testa tremolante? (4)
E perchè bisbigliasti alla Vita, tu - anche, sì, tu, quel sì tuo ferale: quis?... (5)

Ravenna, Guidarello Guidarelli /
dorme supino con le man conserte /
su la spada sua grande. Al vólto inerte /
ferro, morte, dolor furon suggelli. /
Chiuso nell'arme attende i dì novelli /
il tuo guerriero. Attende l'albe certe /
quando una voce per le vie deserte /
chiamerà le virtù fuor da gli avelli. /
Gravida di potenze è la tua sera, /
tragica d'ombre, accesa nel fermento /
dei fieni, taciturna e balenante. /
Aspra ti torce il cor la primavera; /
e sopra te che sai passa nel vento /
come pòlline il cenere di Dante.
  (6)



Sii, Guidarello Guidarelli, sii
Omaggio, alla Vita.
Che nel d'Istante Bacio Sacrato ogni istante alla Vita riporti. Ti.


Gaetano Donizetti, L'elisir d'amore (12 maggio del 1832) - Alfredo Kraus - Una furtiva lagrima (1990)
[Da: kraustrujillo | 07/mag/2007 || http://www.espacioblog.com/alfredokraus
 || Versión sensacional la que nos muestra Kraus en esta toma en directo en la plaza de toros de "Las Ventas" de Madrid en 1990. || In:



Dormi. Litico Assoluto. Sei.

Nella tua Spes
Riposi.
Baciato.
Ogni dì.




Note
(1) Img da: Franca Zava Boccazzi (a cura di), I Lombardo, Milano, Fabbri Editori, - I Maestri della Scultura -, 1966.


(2) Gabriele D'Annunzio, Elettra. Delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi - Le città del Silenzio - Ravenna, Roma, Newton, 1995.


(3) Guidarello Guidarelli (Ravenna, 1460 ca. – Imola, marzo 1501).Guidarello Guidarelli venne ucciso da tal Virgilio, romano.  Una cronaca del 1501 chiarisce che il mistero della sua morte sarebbe da attribuire ad una tragica lite per motivi non certo all'altezza della sua fama: « Miser Guidarelo da Ravena, soldato dignissimo del duca, abiando imprestato una sua camisa a la spagnola, belissima de lavori d'oro, a Virgilio Romano a Imola, per farsi mascara, e non je la volendo rendere e cruzatosi con lui, el ditto Virgilio lo tajò a pezzi e amazollo; el Duca fatollo pjare li fé tajare la testa. » (Giuliano Fantaguzzi, cronaca cesenate del 13 marzo 1501). - Il giallo venne chiarito dal paleografo Augusto Campana, nel 1930.

(4) Iliade, Lib. XXIII, Morte e funerale Patroclo "...di retro Achille con la man gli reggea la tremolante testa..."

(5)Virgilio, Georgicon, ripreso verbatim da Rilke, ove l'ultima parola di Euridice é quel sì disperante bisbiglio: quis?...


(6) D'Annunzio, Elettra, cit.



Apparati

Su Augusto Campana: - Erudito, filologo, paleografo italiano (Santarcangelo di Romagna 1906 - ivi 1995). Fondatore e presidente per alcuni anni della Società di studî romagnoli, scrittore della Bibl. Vaticana, poi (dal 1959) prof. univ., dapprima di paleografia e diplomatica a Urbino, quindi, a Roma, di letteratura umanistica (1965-74) e di filologia medievale e umanistica (1974-76); socio corrispondente dei Lincei (1987). Autore di numerosi saggi dedicati a manoscritti e biblioteche umanistiche, all'antico manoscritto ravennate di s. Ambrogio in semionciale (1958), a iscrizioni medievali e rinascimentali, oltre che alla storia degli studî di epigrafia classica. Alcune sue scoperte hanno rilievo anche per la filologia classica, come quella degli Epigrammata Bobiensia e del codice autografo di Poggio Bracciolini contenente le orazioni di Cicerone da lui ritrovate nel 1417. Tra i suoi meriti filologici, anche la scoperta e pubblicazione (1992) di una lettera latina di G. Boccaccio a D. Albanzani; i suoi studi sulle iscrizioni di Sangemini (1976) e su quelle del duomo di Modena (1984). Postuma è stata pubblicata una raccolta di suoi Profili e ricordi (1996).
[Da: http://www.treccani.it/enciclopedia/augusto-campana/ - Si ringrazia]


Su Giuliano Fantaguzzi, cronista XVI. - Nacque da Gaspare a Cesena (od. prov. di Forlì) il 1° ag. 1453. - Non è sostenuta da prove documentarie la tradizione locale che lo vorrebbe studente fino al terzo anno dì diritto a Bologna, contraddetta, nelle opere del F., dall'assenza di interessi per la materia giuridica. Nel 1479 entrò nel Consiglio dei novantasei, ricoprì le cariche di conservatore e di anziano (che duravano ciascuna un bimestre), negli anni 1484-88, 1494-95, 1497, 1505, 1511, 1513, 1517, e ricevette altri incarichi pubblici cittadini negli anni 1496, 1508, 1511, 1519, ma mai compiti di ambasceria al di fuori della città. Lo si ritiene fondatamente morto nel 1521, perché a quella data si interrompe la sua produzione scrittoria e le fonti archivistiche non forniscono più notizie su di lui.
Patrizio appartenente al partito conservatore, ostile cioè all'apertura ai "popolari", inaugurata quando Cesena nel 1465 passò dalla signoria di Malatesta Novello allo Stato della Chiesa, il F. disapprovò la politica dei pontefici da Innocenzo VIII ad Alessandro VI, a Giulio II e a Leone X. Al primo, che accusò di aver regnato "asai vilmente", rimproverò appunto la politica antioligarchica e probabilmente di aver tolto alla Comunità cesenate i privilegi fiscali concessi dal primo governatore di Cesena, Lorenzo Zane; ad Alessandro VI, di aver pervertito i fini della Chiesa; a Giulio II, un espansionismo che costò a Cesena gravose imposizioni fiscali; a Leone X, il rischio che Cesena entrasse a far parte dello Stato del nipote, duca di Urbino. Gli umori politici del F. ci sono noti dalle sue due opere principali, entrambe autografe: la prima reca il titolo di Caos di meser Iuliano Fantaguzzi, la seconda Occhurentie et nove notate per me Iuliano Fantaguzo cesenate.
Giunte a noi in un unico codice (Cesena, Bibl. comun. Malatestiana, ms. 164.64), nella prima, che nella tradizione storiografica ha dato il titolo di Caos all'intero codice ("questo libro è chiamato dagli istorici il Caos del Fantaguzzi: Verdoni, p. 107), sono contenuti abbozzi, copie di passi ricavati da letture di vario ordine. Il F. lesse epitomi di Livio, Floro, Giustino, oltre ad opere che trovava a Cesena nella biblioteca costituita da Malatesta Novello: le Genealogie deorum gentilium del Boccaccio, il Doctrinale di Alessandro di Villedieu, l'Almagesto dì Giabir Ibn Aflah, nella volgarizzazione di Gherardo da Cremona. Al di fuori della biblioteca malatestiana, una sua fonte fu una stampa di larga diffusione: il Supplementum chronicarum (1483) di Iacopo Filippo Foresti. Nel Caos si trovano inoltre preziose trascrizioni di cronache cesenati, appunti su avvenimenti del proprio tempo, riguardanti ogni particolare della vita cittadina e le vicende italiane ed europee.
Quest'ultimo materiale di appunti sul proprio tempo confluì, rimaneggiato, ordinato ed ampiamente integrato, nelle Occhurentie et nove, secondo un ordine cronologico ("diligentissimus fuit scriptor chronologicus": Manzoni, p. 145) ed al tempo stesso tematico. Alla stesura delle Occhurentie et nove, che giungevano fino al 1521, il F. si dedicò in età matura, mantenendo alla propria scrittura un tono cronachistico, ispirato dalla volontà di fornire un'informazione puntuale anche su particolari che non sarebbero stati assimilati in una narrazione organica e dalla interiorizzata accettazione dell'obbligo di non riferire sulle deliberazioni della propria Comunità. Quell'obbligo prevedeva anche pene severe, come la requisizione dei beni. Si veda ad esempio la formula usata nell'accoglimento di un nuovo consigliere (Sez. di Arch. di Stato di Cesena, Riformazioni 58, c. 84v), e il F. era presente a quella riunione del Consiglio. Se perciò il F. non derogò mai a quella norma, tuttavia ci vengono dal suo manoscritto notizie decisive sul suo tempo, ricavate dalle relazioni che con lui ebbero personalità provenienti da ambienti diversi di diverse città. Alla stesura di quest'opera il F. considerò dedicata la propria esistenza, che al disbrigo degli affari cittadini, cui lo chiamava il proprio nome, non appariva particolarmente inclinata, se egli assisteva silenzioso alle discussioni nei Consigli o, come dimostra una rara documentata sua occasione di intervento (allorché una sua opinione fu preliminarmente respinta: ibid. c. 167r), non godendo di particolare considerazione. La sua sorte di storiografo della città fu annebbiata dalla sua ostilità ai vari papi, che non riuscì e talvolta non volle dissimulare, oltre che dal pregiudizio umanistico della sua età e di quelle successive verso quell'annalistica in volgare, priva di politezza formale e nutrita di interessi eterodossi rispetto alla cronachistica illustre e all'historia rerum gestarum.
Nel 1598 una breve storia della città, scritta da Cesare Brissio e offerta a Clemente VIII di passaggio per Cesena, non lo nominava neppure fra i letterati cittadini. Scipione Chiaramonti, nella sua Caesenae historia (1641), attingeva a piene mani alle Occhurentie et nove, senza mai citare la fonte e definendo l'autore uno scrittore "rozzo" (p. 730). Nel Settecento le Occhurentie furono saccheggiate da un altro cesenate, Ercole Dandini, che aveva avuto da G. B. Graeve l'incarico di scrivere le cose più notevoli della storia della città. Dandini scelse il periodo borgiano, dicendo di aver ricevuto da un cesenate un diario scritto in quel tempo. A quel diario egli attinse elaborando le notizie in forma narrativa e volgendo quel volgare in lingua latina per un pubblico europeo (In Caesaris Brixii urbis Caesenae descriptionem adnotationes Herclei Dinundae, in J.G. Graevius, Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, IX, 8, Ludguni Batavorum 1723, coll. 65-77). L'occultamento del nome del F. ha fatto parlare, ancora ai nostri giorni, di un "anonyimous diarist of Cesena" (E. Cochrane, Historians and historiography in the Italian Renaissance, Chicago 1981, p. 164). Quando nel 1848 il manoscritto fu donato alla Biblioteca comunale Malatestiana di Cesena, l'opera fu sottratta all'esclusivo circuito privato dei patrizi cultori di storia patria. Nella stessa Malatestiana è conservato un apografo del manoscritto del F. compiuto in gran parte da Arnaldo Bocci ("164.63, Fantaguzzi Giuliano, Caos ... copia del manoscritto originale, fatta nella massima parte dal Sig. Arn. Bocci, nel 1893", in A. Loli-Piccolomini, Catalogo dei manoscritti... finito di compilare il 12 marzo 1897, p. 37).
Il primo ad affrontarne un'edizione fu Oreste Vancini, che nel 1909 pubblicò a Bologna un'introduzione, la parte iniziale delle Occhurentie et nove fino all'anno 1494 (trascurando il Caos e dando all'opera il titolo di Caos. Cronache cesenati). L'iniziativa di Vancini si interruppe e nel 1915 Dino Bazzocchi, presso una tipografia cesenate, la continuò impossessandosi del lavoro di Vancini senza dichiararlo. La stampa di Dino Bazzocchi (Caos. Cronache cesenati del secolo XV) trascriveva, sulla scorta quasi esclusiva della copia di Bocci, le Occhurentie et nove fino all'anno 1510.
Fonti e Bibl.:
- Ravenna, Bibl. com. Classense, ms. 468: Iul(ian)i Fantaguci [Epi]taphia reperta et de antiquis;
- Cesena, Bibl. com. Malatestiana, ms. 164.47 (sec. XVII):
- M. Verdoni, Cronologia di Cesena, p. 107; Ibid., ms. 164.36 (sec. XVIII):
- D. de Vincentiis, Bibliotheca Caesenatensis illustrium scriptorum, cc. 224v-225v;
- Ibid., ms. 164.35: C. A. Andreini, Mem. di Cesena cavate da monumenti antichi. Delli uomini illustri di Cesena. 1799, p. 362;
- Ibid., cart. mss. XXXI, 13 (secc. XVIII-XIX): C. A. Andreini, Notizia di tutti li uomini illustri della città di Cesena;
- Ibid., ms. 164-34 (sec. XVIII): Id., Notizie delle famiglie illustri di Cesena, III, p. 194;
- Ibid., ms. 164.63: copia incompleta del ms. 164.64, compiuta in gran parte da Arnaldo Bocci (1893);
- S. Chiaramonti, Caesenae historia, Caesenae 1641, p. 730;
- B. Manzoni, Caesenae chronologia, Pisis 1643, p. 145;
- J. M. Muccioli, Catalogus codicum manuscriptorum Malatestianae Caesenatis Bibliothecae, I, Caesenae 1780, p. 125 n.;
- N. Trovanelli, Tra le vecchie famiglie di Cesena. Casa Fantaguzzi, in Il Cittadino, 20 genn. 1901; - L. Piccioni, Di Francesco Uberti umanista cesenate. De' tempi di Malatesta Novello e di Cesare Borgia, Bologna 1903, pp. 195-197;
- G. Gasperoni, Storia e vita romagnola nel secolo XVI (1519-1545), Iesi 1906, pp. 23 s.;
- O. Vancini, Per il "Caos" di G. F. cesenate, in La Romagna, IV (1907), pp. 600-602;
- A. Carlini, Intorno ad alcune fonti stor. dell'eccidio di Cesena operato dai Brettoni nel 1377, Cesena 1910, pp. 10, 39, 44, 49;
- A. Campana, The origin of the word "Humanist", in Journal of the Warburg and Courtald Institutes, IX (1946), p. 62;
- C. Riva, G. F. e il suo "Caos", in Studi romagnoli, XXII (1971), pp. 251-274;
- A. Moroldo, Remarques sur les "Occhurentie et nove" de G. F., ibid., XXIV (1973), pp. 415-445; - G. Ortalli, Gli "Annales Caesenates" tra la cronachistica trecentesca e l'erudizione storiografica quattrocentesca, in Boll. dell'Ist. storico ital. per il Medio Evo, LXXXVI (1976-1977), pp. 302 s., 310-320, 359-375;
- P.G. Fabbri, Cesena nelle cronache di G.F. dal 1507 al 1509, in Studi romagnoli, XXXVIII (1987), pp. 233-245;
- P. Lucchi-L. Righetti, Storie d'amore e di sesso nelle "Occhurentie et nove" G. F., in Romagna arte e storia, VII (1987), 21, pp. 23-42;
- P. G. Fabbri, Ilgoverno e la caduta di Cesare Borgia a Cesena (1500-1504) nella cronaca G. F., in Nuova Riv. storica, LXXII (1988), pp. 341-388;
- Id., Giulio II a Cesena, in Critica storica, XXVI (1989), pp. 176-204;
- Id., Cesare Borgia a Cesena. Istituzioni, vita politica e società nella cronaca di G. F. dal 1486 al 1500, in Arch. storico ital., CXLVIII (1990), pp. 69-102;
- Id., Il "Caos" di G. F., in Quaderni di storia, XVI (1990), pp. 103-120;
- Id., Cesena tra Quattro e Cinquecento. Dai Malatesta al Valentino a Giulio II, la città, le vicende, le fonti, Ravenna 1990, passim;
- A. Vasina, F. G., in Repert. della cronachistica emiliano-romagnola (secc. IX-XV), Roma 1991, pp. 86-90;
- S. Sozzi, Cesena valentiniana, in Il Lettore di provincia, XXII (1991), pp. 91-94;
- Repert. fontium historiae Medii Aevi, IV, pp. 427.
[Da: http://www.treccani.it/enciclopedia/giuliano-fantaguzzi_(Dizionario-Biografico)/ - Si ringrazia]



Tra Marfisa e Parisina - Ferrara e Ravenna nell'opera di Gabriele D'Annunzio
di Michele Santoro

Gli interessi - storici, letterari, artistici - di Gabriele D'Annunzio per le città di Ferrara e Ravenna paiono concentrarsi nel torno di tempo che va dal 1898 al 1913. Sono gli anni che vedono il D'Annunzio effettuare un'accurata visita alla città estense, i cui ricordi, fissati nei Taccuini, sono poi poeticamente rielaborati nella prima delle Città del silenzio e rivissuti in lunghi stralci delle Faville del maglio, ma è anche il periodo nel quale l'autore è a Ravenna in cerca di notizie per la sua Francesca da Rimini, finché‚ la Parisina, comparsa appunto nel 1913, non chiude il ciclo "padano" del poeta.

Né questi sono gli unici rapporti intrattenuti dal D'Annunzio con i luoghi dell'Emilia Romagna: basti pensare infatti al suo trionfale ingresso a Faenza, quando, al seguito del 14° Reggimento di Cavalleggeri cui è aggregato, riceve entusiastiche accoglienze dalla popolazione; oppure il celebre "sbarco" a Rimini dell'agosto 1887, poi rievocato nel Trionfo della morte laddove l'autore ricorda la visita ai maggiori monumenti riminesi, dal Tempio Malatestiano alla chiesa di San Giuliano.

Ma è Ferrara la città che - per lo splendore del suo passato, per la vivacità della cultura che seppe esprimere, per i fasti e gli intrighi della sua corte - più d'ogni altra pare affascinare e sedurre il D'Annunzio, proteso a ricercare, come di consueto, l'eccezionalità e l'eccesso. I ricordi e le sensazioni vissute nel viaggio che compie dal 6 al 9 novembre 1898, sono affidate ad appunti di straordinaria lucidità e precisione: sotto gli occhi del poeta rivive la storia della città, il passato di una delle più illustri e antiche signorie della penisola, risonante di fatti d'arme e illuminato dalle ottave dei poeti. Di volta in volta, lo sguardo trascorre dalla visione notturna del Castello al palazzo Schifanoia al palazzo dei Diamanti, dalla casa dell'Ariosto alla piccola chiesa di Santa Maria della Consolazione, soffermandosi in particolare sull'"arco de la porta minore (destra) " della Cattedrale, dove riconosce ed ammira "la testa di Madonna Ferrara".

La visita alla città, come si è detto, offre al D'Annunzio motivi di interesse anche per tutto ciò che di eccezionale e di eccentrico la signoria estense ha dato prova nel corso dei secoli: in particolare, gli eccessi della corte e le reiterate intemperanze erotiche di alcuni personaggi, primo fra tutti quel Niccolò III sul quale sorse il detto: "di qua e di l… dal Po, tutti figli di Niccolò". Ma è soprattutto nei confronti dei personaggi femminili che si rivolge l'attenzione del D'Annunzio nel suo peregrinare per vie e piazze di Ferrara: così la casa di Marfisa, la celebre nobildonna estense che, secondo la leggenda, "faceva innamorare e morire", precipitando gli amanti in pozzi irti di rasoi, gli si mostra di fatto come "la casa della magia e della voluttà; così la tomba di Lucrezia Borgia, nel silenzio del monastero del Corpus Domini, è sorvegliata da mute "clarisse con il volto coperto di panno", in simbolico contrasto col clamore del quale fu circondata in vita; e così pure si sofferma ad ammirare il ritratto di Laura Dianti, e si attarda a rievocare il miracolo di Santa Caterina Vegri che, chiamata alla preghiera, lascia per molte ore il pane nel forno e al suo ritorno lo trova, anziché‚ bruciato, "del color delle rose e odorifero e di sapore paradisiaco"; e vede affacciarsi, "presso la vecchia torre campanaria di S. Francesco", il tragico fantasma di Parisina, l'appassionata protagonista della vicenda di amore e morte che che alcuni anni dopo gli ispirerà il dramma omonimo.

Questa vasta messe di impressioni, di sensazioni, di ricordi ferraresi non s'arrestano alla registrazione del taccuino, ma assumono veste d'arte con la poesia Il silenzio di Ferrara, ed in seguito subiranno rielaborazioni ulteriori nelle Faville del maglio.

Il silenzio di Ferrara, poi entrato a far parte della prima sezione delle Città del silenzio, viene pubblicato sulla "Nuova Antologia" del 16 novembre 1899, ad un solo anno di distanza dalla sua visita, a testimoniare, se ancora ve ne fosse bisogno, il forte impatto prodotto dalla città estense sull'animo e sull'immaginazione del poeta.

Un elogio alla città era stato di recente tributato dal Carducci con l'ode Alla città di Ferrara, nella quale viene rievocata non solo la storia, ma anche la preistoria mitica e le caratteristiche psicologiche degli abitanti, non mancando cenni di color locale nei riferimenti ai personaggi più rappresentativi della dinastia, da "Leonora, matura vergine senz'amore" a "Parisina ardente del sangue natal di Francesca, / che del vago Tristano legge gli amori e l'armi".

Del tutto diversa la poesia dannunziana che, scevra del bagaglio di erudizione che informerà gli altri componimenti del gruppo, appare come una delle più ispirate e perfette fra le Città del silenzio.

Ferrara dunque, che nel passato è stata sempre piena di vita, che si è offerta agli occhi del mondo con grande copia di ricchezze, di balli, di cacce, di conviti, ora è deserta e silenziosa: tuttavia nei suoi palazzi, nelle sue strade, nelle sue piazze pare rivivere la magnificenza e la sontuosità di un tempo, ed il sottile fascino che promana da questi luoghi spinge il visitatore a celebrarne la malinconica bellezza. Per il poeta il volto della città si trasmuta nel volto mesto di una donna che sembra piegare il capo sul suo petto a rimemorare un tempo favoloso di remota felicità "O deserta bellezza di Ferrara, / ti loderò come si loda il volto / di colei che sul nostro cuor s'inclina / per aver pace di sue felicità lontane": un volto che sembra riflettersi nella "chiara sfera d'aere e d'acque", nella diffusa luce della grande pianura ferrarese attraversata dai molti fiumi che delimitano la città isolandola nella sua musicale "melanconia divina": E nella città che gli è apparsa in sembianza di donna ora gli si mostrano i fantasmi delle "donne morte", di quelle gran dame ferraresi, Marfisa, Eleonora, Meliadusa, che tanto avevano attratto l'interesse del D'Annunzio. E ad una di esse, a "quella che più gli piacque", va la lode particolare del poeta: se questa che il D'Annunzio loda senza nominare sia una donna realmente esistita, o un vago fantasma poetico, è un punto abbastanza difficile da chiarire, ma di cui forse lo stesso autore ha dato la soluzione quando, nelle Faville del maglio, scrive: "Tra tutti i nomi delle donne morte questo [Meliadusa] mi canta nella fantasia".

Infine, è la stessa città, con le sue "vie piane / grandi come fiumane / che conducono all'infinito" a subire un processo di trasfigurazione attraverso il quale essa può liberarsi dei suoi confini fisici e del suo attualità per situarsi in una regione di sogno: quel "sogno di voluttà" per cui ebbe fama la città degli Estensi e che oggi "sta sepolto sotto le pietre nude" delle tombe, insieme col suo glorioso destino.

E che la storia e la leggenda di Ferrara abbia agito in maniera decisiva sull'immaginario dannunziano, è testimoniato dalla successiva elaborazione che gli stessi ricordi i quali hanno dato vita alla prima Città del silenzio subiscono nelle Faville del maglio: queste brillanti prose non solo integrano e per alcuni versi chiosano i testi precedenti, ma mostrano che, a distanza di anni, è più che mai vivo l'interesse dell'autore per la città emiliana.

Fra i tanti ricordi che il D'Annunzio si porta dietro da quel novembre del 1898, uno dei più intensi è quello della "casa di Marfisa [...] in mano ai guastatori bestiali", tutti quei "fabbri, falegnami, calcinaiuoli, mercanti di canape, mercantuzzi di capecchio" che l'avevano invasa, per nulla rispettosi dell'antica maestà del luogo, così da spingere l'indignato poeta ad un insolito atteggiamento: "Preso a un tratto da non so che cattiveria tirannica, feci da padrone. Chiamai gli intrusi, comandai agli ottusi; che accorrevano da ogni parte". Entrato all'interno del palazzo, scorge tra assi rozze e annerite "una figura di donna dagli occhi seguaci, in veste rigida di pompa", e "l'uomo di fuliggine" che lo accompagna, attesta: "Questa è Marfisa [...] In questo luogo ci si sente".

Altre pagine delle Faville sono dedicate a persone, a luoghi e a leggende di Ferrara: il miracolo di Caterina Vegri, il vago fantasma di Parisina, i madrigali del Tasso per Marfisa: ma forse la più intensa e prelibata di tutte è la pagina dedicata ai "nomi canori", che conviene riportare per esteso: "A Ferrara i nomi delle donne estinte cantano. Canta Filippa della Tavola cittadina di Ferrara e innamorata di Nicolò da Este [...]. Canta la Vanna di Roberti 'per la quale fu facto el Paradiso e Belfiore e Schivanoglio'. Canta Alisia d'Antiochia, la terza moglie del sesto Azzo. Canta Cubitosa di Rainaldo 'vestita d'un mantello fiamengo di panno d'oro'. Canta perfin la Beatrice vedova di Nino giudice di Gallura [...] Ed ecco che un'altra gola s'aggiunge, come nei madrigali a sei voci [...] Canta la Verde dalla Scala? o Costanza Malatesta? O Mambilia o Meliadusa?".

Ma parallelamente a Ferrara, il D'Annunzio di questi anni pare affascinato da un'altra città di antiche tradizioni e di nobili virtù: Ravenna. Difatti, insieme alla poesia su Ferrara esce, nella "Nuova Antologia" del 16 novembre 1899, Il silenzio di Ravenna, anch'esso poi accluso al libro di Elettra.

Nella visione del poeta, anche Ravenna, al pari di Ferrara, non vive che nella rimemorazione del suo passato; e come nella città estense il ricordo è affidato alle "pietre nude", ai marmi spogli delle tombe in cui si cela l'antico "sogno di voluttà", così a Ravenna sono le tombe a custodire l'anima più profonda di una città che è stata testimone della fine di un impero e della nascita e del tramonto di nuove dispotiche dominazioni. Sono i sepolcri dei "violenti", cioè degli ultimi sovrani di Roma e dei primi re barbari, Galla Placidia e Teodorico, ma anche di condottieri rinascimentali come il celebre Braccioforte. Ravenna dunque viene celebrata dal D'Annunzio non solo per il "funebre tesoro" che conserva, ma anche "pel mistico presagio" di futuri eventi che il poeta avverte nello stormire delle fronde della vicina pineta di Classe, un presagio di future glorie affidato ad "un altro eroe" il quale, al pari di Dante che pure è sepolto a Ravenna, "tender… l'arco [...] verso l'infinito".

Ad attestare che l'interesse per le storie e le vicende ravennati è più che mai vivo, tra il 1901 e il 1902 il D'Annunzio compone e porta in tournée per tutta Italia il dramma Francesca da Rimini, affidato alla interpretazione di Eleonora Duse. L'opera, che si rifà esplicitamente all'episodio dantesco del V canto dell'Inferno, mette sulla scena i membri delle famiglie dei Malatesta di Rimini e dei da Polenta di Ravenna, con una scenografia che intende riprodurre le vicende e il fasto della corte ravennate, in un linguaggio esemplato sui testi poetici del duecento e del trecento. Per la preparazione dell'opera il D'Annunzio non solo si documenta col consueto scrupolo sui commenti trecenteschi del famoso episodio dantesco, primo fra tutti il Comento di Boccaccio, ma effettua accurate ricerche in città, giovandosi anche della collaborazione dello storico e critico d'arte ravennate Corrado Ricci, allora direttore della Pinacoteca di Brera, con il quale da tempo il D'Annunzio ha instaurato vivaci rapporti epistolari.

Nel maggio 1901, il D'Annunzio è a Ravenna con Eleonora Duse. La visita alla città e ai suoi monumenti avviene, insolitamente, tra il discreto riserbo della popolazione; il D'Annunzio lascia un ricordo di sé‚ nel libro dei visitatori della Biblioteca Classense, firmandosi "Marco Fulgoso, Venezia", mentre al sepolcro di Dante non appone alcuna firma, ma scrive il motto "Per non dormire", e la data, 23 maggio 1901. Ma, fra una gita alla Pineta di Classe e una visita a San Vitale, è sempre il pensiero della Francesca a tener desta la sua attenzione. Come scriverà in una lettera al Ricci, ha "presa la febbre, una sera, nella pianura dove fermenta il fieno", ed insieme alla febbre è come se "tutto l'incanto della città fatale" fosse penetrato nel suo animo; richiederà pertanto all'amico "qualche libro di storia ravennate [...] qualche monografia sul periodo polentano", e anche "qualche notizia intorno a Samaritana, sorella di Francesca", in quanto "tutto quel periodo è oscuro", e la "sapienza" storica del Ricci può essergli di grande giovamento.

La prima del dramma, avvenuta a Roma il 9 dicembre 1901, avrà accoglienze contrastate sia per l'eccessiva lunghezza del testo, sia per il clamore delle scene di battaglia; Opportunamente sfrondata, si imporrà successivamente al giudizio del pubblico e della critica come una delle opere di maggior peso nel teatro dannunziano, tanto da subire una riduzione a libretto d'opera da Tito Ricordi e da essere musicata in chiave wagneriana da Riccardo Zandonai.

Né‚ con la realizzazione della Francesca s'interrompe l'interesse del poeta nei confronti di Ravenna e dei suoi illustri personaggi.

Difatti, in chiusura delle Città del silenzio, quasi a fare da cornice all'intera opera, sta un sonetto su Ravenna nel quale il poeta riprende i temi centrali della silloge: il silenzio delle antiche città, in contrasto con la potenza, il fasto e la ricchezza di un tempo, e l'auspicio che un giorno esse possano ritornare al passato splendore.

Il sonetto si apre con la raffigurazione di Guidarello Guidarelli, il celebre capitano di ventura ravennate che combattè al servizio del Duca Valentino e che da questi fu fatto uccidere a tradimento. La sua prematura fine, com'è noto, diede luogo a una serie di leggende e di poetiche celebrazioni; la famiglia ne fece scolpire le sembianze in una statua, che ora si riaffaccia alla memoria del D'Annunzio:

"Guidarello Guidarelli / dorme supino con le man conserte / su la spada sua grande. Al volto inerte / ferro morte dolor furon suggelli".

Racchiuso nell'armatura, l'eroe "attende i dì novelli", quando sarà richiamato in vita da una voce che "per le vie deserte / chiamerà [...] fuor degli avelli" gli spiriti più valorosi del passato. Nel simulacro di Guidarello sembra dunque compendiarsi l'intera città, che appare popolata di misteriosi presagi, "gravida di potenze [...] tragica d'ombre, [...] taciturna e balenante"; e su di essa, sulla sua storia millenaria, le ceneri di Dante sono come un balsamo che feconda e rigenera: "sopra te che sai, passa nel vento / come polline il cenere di Dante".

D'altra parte, quasi a voler sancire il legame che ha individuato fra le due città, ai primi di giugno del 1902 il D'Annunzio si reca a Ferrara per effettuare ricerche di "iconografia estense" presso la biblioteca Ariostea: tuttora affascinato dalla figura di Parisina ha in animo di scrivere un dramma, che dovrebbe costituire con la Francesca, il secondo momento della trilogia dei "Malatesti". Un anno dopo è nuovamente a Ferrara, per assistere, insieme ad Eleonora Duse, all'esecuzione del melologo Parisina del poeta Domenico Tumiati e del maestro Veneziani, che si tiene nel Castello Estense. Bisognerà però attendere dieci anni perché‚ la tragedia veda la luce: musicata dal Mascagni, la Parisina sarà eseguita per la prima volta nel 1913 alla Scala di Milano e pubblicata lo stesso anno.

La vicenda degli amori di Parisina Malatesta, moglie di Niccolò d'Este col bellissimo Ugo, e la tragica morte dei due amanti, ha avuto una straordinaria fortuna nella letteratura mondiale, essendo stata trattata da autori quali Lope de Vega e Byron e, ancor prima, da Matteo Bandello e dal Lasca.

L'opera del D'Annunzio, inserita come si è detto nell'incompiuto ciclo dei "Malatesti", riprende il tono ed il linguaggio della Francesca da Rimini, nella rappresentazione della quattrocentesca città estense e della sua corte.

L'intento del poeta è quello di riproporre il dramma dei due amanti di Ferrara, sottraendolo alle contingenze della realtà quotidiana e immergendolo in un clima favoloso ed onirico.

Col sacrificio di Ugo e Parisina si chiude il ciclo di opere che il D'Annunzio ha dedicato a Ferrara e Ravenna, ma non per questo cessa l'interesse, s'arresta la memoria: negli anni a venire l'autore rivivrà nelle Faville del maglio gli innumerevoli ricordi ferraresi, ma ancora nella Contemplazione della morte rievocherà quel giorno di novembre in cui si mosse da Ferrara "per cercare un'eco famosa".

Infine ad una tarda pagina di taccuino affiderà le ultime immagini ferraresi: l'immagine di Leonello d'Este effigiato dal Pisanello in "sette differenti medaglie"; l'immagine di Lucrezia Borgia; l'immagine di Laura Dianti e di "Alfonso I d'Este [...] principe artefice, a cui si deve l'invenzione del bianco allattato [...] per le ceramiche" e che "eccelleva anche nel fondere i cannoni e nel preparare un ottimo acciaio".

"Come Alfonso I" conclude il D'Annunzio "io fabbrico ogni mattina un bonissimo acciaio".




Bibliografia

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Soggetto = tullio lombardo, guidarello guidarelli

Scheda: 1/1
Livello bibliografico Monografia
Tipo di documento Testo a stampa
Titolo Guidarello Guidarelli : interventi conservativi, nuovi studi e ricerche / a cura di Nadia Ceroni, Alberta Fabbri, Claudio Spadoni
Pubblicazione Ravenna : Mar, stampa 2009
Descrizione fisica 221 p. : ill. ; 24 cm.
Collezione Pagine del MAR ; 3

Nomi · Spadoni, Claudio
· Ceroni, Nadia
· Fabbri, Alberta
Soggetti Guidarelli, Guidarello - Congressi - 2009
Lombardo , Tullio . Lastra sepolcrale di Guidarello Guidarelli - Restauro - Congressi - 2009
Restauro - Congressi - 2009

Classificazione Dewey 730.92 (21.) SCULTURA. Persone
Localizzazioni
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Biblioteca comunale Classense - Ravenna - RA
Biblioteca dell'Amministrazione provinciale. Servizio biblioteche - Ravenna - RA
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Biblioteca nazionale Marciana - Venezia - VE
Biblioteca del Dipartimento di storia dell'architettura-DSA- dell'Istituto universitario di architettura di Venezia - Venezia - VE
Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini - Venezia - VE

Ved. anche Note






Filmografia - Il Tempo di Guidarello


The Borgias: The Borgias Trailer
Da: SHOWTIME | 06/dic/2010: Jeremy Irons stars as Rodrigo Borgias in a new Showtime original series The Bogias, coming soon.
[Da: http://www.youtube.com/watch?v=58hmD2sGV7Q&feature=BF&list=SL&index=16 ]













The Borgias: Kiss of Pleasure
Giulia Farnese teaches Lucrezia how to kiss.]
[ Da: http://www.youtube.com/watch?v=_j2o8up8DXI   SHOWTIME | 11/apr/2011]








2 commenti:

  1. Oh!, io Dormiente. Il grande Sonno. Il grande Sogno. Ah, se quel guerrier io fossi stato. Bocche virginali ne bacerebbero delle marmoree
    labbra mie dischiuse. - Da morto?...chissà.
    D'Annunzio fossi, come lui mi butterei a pesce:
    "Ravenna, Guidarello Guidarelli / dorme supino con le man conserte / su la spada sua grande. Al vólto inerte / ferro, morte, dolor furon
    suggelli. / Chiuso nell'arme attende i dì novelli / il tuo guerriero. Attende l'albe certe / quando una voce per le vie deserte / chiamerà le virtù fuor da gli avelli. / Gravida di potenze è la tua sera, / tragica d'ombre, accesa nel fermento / dei fieni, taciturna e balenante. / Aspra ti torce il cor la primavera; / e sopra te che sai passa nel vento / come pòlline il cenere di Dante."
    (Gabriele D'Annunzio, da Elettra, Libro Secondo delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi) (commento di f_v)

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  2. L'immagine di Guidarello continua ad affascinarmi nonostante l'abbia visto tante volte. In passato veniva anche baciato perché una leggenda dice che se una nubile lo bacia, si sposa entro l'anno. E anche adesso alcune conoscono questo mito. Negli ultimi restauri sono state trovate anche tracce di rossetto.

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